venerdì 23 ottobre 2009

INCHIESTA SUI MASTELLA'S (e non solo...)

Bufera su Arpac e Udeur: 63 indagatiCi sono lady Mastella e il consuocero
Lonardo, divieto di dimora in Campania. Un file con 655 raccomandati: accanto a ogni nome, quello dello sponsor


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NAPOLI - Terremoto all'Arpac, l'agenzia dell'ambiente campano: un'ordinanza di custodia cautelare (ai domiciliari) 63 indagati, 18 divieti di dimora e 6 misure interdittive. Un vero e proprio ciclone contro uno dei settori pubblici, considerato da anni «feudo» del Campanile di Clemente Mastella. L'operazione condotta dalla Guardia di finanza di Napoli e dai carabinieri di Caserta coinvolge, infatti, politici, dirigenti della pubblica amministrazione, professionisti e imprenditori campani.

DIVIETO PER SANDRA - Nell’inchiesta risulta indagata anche la presidente del Consiglio regionale della Campania, Sandra Lonardo, destinataria di un provvedimento di divieto di dimora in Campania, dove svolge la sua attività istituzionale. Non solo: stamane sette carabinieri sono entrati nella villa della famiglia Mastella a Ceppaloni, nel Beneventano e ne sono usciti dopo qualche ora. Nei confronti dell’eurodeputato, che si trovava a Strasburgo, invece è stato emesso un avviso di conclusione delle indagini preliminari.

ARPAC - Il filone dell’indagine per il quale sono scattati gli arresti e gli «avvisi» riguarda l’Arpac, Agenzia regionale per la protezione ambientale. Le accuse contestate vanno dall'’associazione a delinquere finalizzata alla truffa, al falso, all'abuso di ufficio, alla turbativa d’asta e alla concussione. Nel mirino degli inquirenti sia la gestione di appalti pubblici sia i concorsi finalizzati all’assunzione di personale e l'affidamento di incarichi professionali nella pubblica amministrazione. E nel partito chi non si piegava a quest'andazzo veniva vessato e intimidito.

GLI INDAGATI - Arresti domiciliari sono stati disposti per Luciano Capobianco, ex direttore generale dell’Arpac, l’Azienda regionale per la protezione ambientale della Campania. Quindici gli indagati per i quali è stato applicato il divieto di dimora nella Regione Campania. Oltre alla Lonardo; il capogruppo alla Regione Fernando Errico; Nicola Ferraro, consigliere regionale; Antonio Fantini, già presidente della Regione Campania e segretario regionale Udeur. Gli altri provvedimenti riguardano Valerio Azzi, imprenditore; Carlo Camilleri, ingegnere e consuocero di Clemente Mastella; Ruggero Cataldi, ex direttore amministrativo Asl Benevento 1; Giuseppe Ciotola, imprenditore; Bruno De Stefano, direttore generale dell’Asl di Benevento; Arnaldo Falato, dirigente dell’Asl Benevento 1; Carmelo Lomazzo, dirigente Arpac; Massimo Menegozzo, dirigente Arpac; Massimo Palmieri, imprenditore; Francesco Polizio, dirigente Arpac; Mario Scarinzi, ex direttore generale dell’Asl Benevento 1. Il divieto di dimora nelle province di Benevento, Caserta e Napoli è stato disposto per Bartolomeo Piccolo, imprenditore, mentre il divieto di dimora nelle province di Benevento e Napoli per Giustino Tranfa, imprenditore, Antonio Zerrillo, ingegnere. La misura interdittiva del divieto di esercitare l’impresa e la professione è stata disposta per gli imprenditori Gaetano Criscione, Francesco Di Palma, Fabrizio Merolla, Claudio Rossi, Fabio Rossi e per il libero professionista Antonello Scocca.

UN FILE CON I RACCOMANDATI - In un file rinvenuto nel computer sequestrato dalla Guardia di Finanza nella segreteria dell’ex direttore generale dell’Arpac, Luciano Capobianco, compaiono 655 nominativi e la maggior parte sono accompagnati dalla segnalazione di un esponente politico, dell’Udeur ma non solo, che li avrebbe raccomandati. Il documento costituisce uno degli elementi principali intorno a cui ruota l’inchiesta della procura di Napoli coordinata dal procuratore aggiunto Francesco Greco. «Si tratta - è scritto nell’ordinanza emessa oggi dal gip Alfano - di raccomandati veri e propri che rispetto ad altri aspiranti privi di sponsor, disponevano della segnalazione di un referente politico che determinerà, nella maggior parte dei casi l’assunzione in violazione delle norme». In alunni casi è emerso che le segnalazioni venivano inviate dai soggetti interessati dal fax in uso allo stesso esponente politico di riferimento, in altri casi il curriculum sarebbe stato scritto a matita proprio dal politico. La procura ha indicato in un riquadro, in ordine decrescente rispetto al numero di segnalazioni, l’elenco degli autori delle segnalazioni (circa 150). Spicca con 100 Nocera (ex assessore regionale Udeur), poi a seguire i nomi di T.Barbato (43), Fantini (36), Giuditta (35), C.Mastella (26), Enrico (17), S.Mastella (12). Tra gli altri nomi di politici locali e nazionali più noti figurano anche Bassolino (2), De Mita (2), Pecoraro Scanio (1), Sales (1). Le persone segnalate sarebbero state favorite per incarichi esterni (consulenze) o per assunzioni all’Arpac a scapito di aspiranti privi di sponsor. Si scatena subito la ridda delle smentite: i primi a farle sono Pecoraro Scanio e Sales.

APPOGGIO DEI CLAN - Un filone dell'inchiesta riguarda presunti appoggi elettorali di un clan di Marcianise (Caserta): questa parte verrà ora stralciata e passata, per competenza alla Dda. Tra l'altro Pellegrino Mastella, uno dei figli di Clemente, girava con una Porsche Cayenne procurata dal titolare di un autosalone di Marcianise attualmente detenuto per 416 bis. Ma Pellegrino invia una nota - attraverso il suo avvocato Del Balzo - in cui precisa: «La vettura Porsche Cayenne è stata regolarmente acquistata e quindi pagata, come da prova documentale in suo possesso, che produrrà nelle sedi competenti. L’avvocato Mastella tiene conseguentemente a precisare che la Porsche non è stata assolutamente oggetto di regalo da parte di chicchessia, né ha mai conosciuto il titolare dell’autosalone di Marcianise».

UNA SUPER-PARCELLA - Un milione e 300 mila euro, a tanto ammonta la super parcella che è stata liquidata ad uno degli indagati. La persona in questione, in base al lavoro investigativo, è stata beneficiata dall’Asl di Benevento di una consulenza su un argomento che la stessa Procura di Napoli definisce «non chiaro». Si tratta della ricompensa ricevuta «dopo aver dispiegato per il partito (l’Udeur, ndr) la sua presunta intermediazione con gli organi di giustizia amministrativa in una controversia elettorale relativa alle comunali di Morcone (Benevento). Agli atti dell’Asl nessuna documentazione di tale consulenza ma solo il pagamento delle parcelle. Il beneficiario della frode, «un congiunto di un esponente di vertice del sodalizio», ha ottenuto la super parcella con una «truffa» (è la definizione della Procura) ai danni del consorzio di bonifica di Sessa Aurunca (Caserta) e della Regione Campania. L’importo è stato liquidato in relazione a presunti lavori di ristrutturazione della rete di adduzione dell’impianto irriguo di Cellole, sempre nel Casertano.

Tratto dal sito: http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/notizie/cronaca/2009/21-ottobre-2009/inchiesta-arpac-63-indagati-25-arresti-1601901588567.shtml

martedì 20 ottobre 2009

Trattativa Stato-Mafia : Giovanni Brusca

Riporto un paragrafo del libro di Ferruccio Pinotti "Colleti sporchi" .

LE RIVELAZIONI DI GIOVANNI BRUSCA

Le dichiarazioni di Giovanni Brusca, uno degli artefici della strage di Capaci, hanno un ruolo controverso nell'indagine sui mandanti occulti.
Brusca ha confermato che l'eliminazione di Falcone era stata studiata già sin dalla fine del 1990.
E ha riferito che, durante uno degli incontri preparatori, commentò con Riina che quell'attentato avrebbe impedito al senatore Andreotti di diventare Presidente della Repubblica. Brusca ha raccontato anche del progetto di Riina di eliminare una serie di referenti politici che si erano rivelati inaffidabili, tanto che dopo la strage di Capaci gli affidò il compito di eliminare l'onorevole Mannino, incarico che venne sospeso perchè si decise di concentrarsi su un obiettivo più importante: Paolo Borsellino.

In una di quelle riunioni Brusca seppe da Riina di quello che il boss chiamò il "papello", cioè un messaggio - da destinare a personalità importanti e a figure istituzionali - che conteneva le condizioni imposte da Cosa Nostra allo Stato per cessar le stragi.

Brusca ha dichiarato ai pm di essere venuto a conoscenza, nel periodo compreso tra la strage del 23 maggio e quella del 19 luglio 1992, dell'esistenza di una trattativa condotta da Riina per ottenere benefici in tema di revisione dei processi, sequestro dei beni e collaboratori di giustizia.
Dopo la strage di Via D'Amelio, per agevolare la ripresa e la definizione di una trattativa, Riina chiese che venisse portato a termine un ulteriore attentato nei confronti di un rappresentante delle istituzioni: come obiettivi possibili vennero individuati Alfonso Giordano e Pietro Grasso. Dell'esistenza della trattativa di cui parla Brusca si trae conferma dalle dichiarazioni del generale Mario Mori e del maggiore Giuseppe De Donno relativamente ai rapporti con Vito Ciancimino, che sarebbe stato utilizzato come tramite.

Brusca nelle sue deposizioni ha confermato, inoltre, le indicazioni di Cancemi su uno scambio di opere d'arte trafugate (tramite Paolo Bellini, un personaggio che tornerà spesso in questa vicenda), per ottenere vantaggi carcerari destinati a 5 persone. Tra i beneficiari Riina aveva indicato Pippo Calò, ritenuto dagli inquirenti il cassiere della mafia a Roma e in seguito imputato dell'omicidio di Roberto Calvi.

Brusca ha raccontato agli inquirenti una serie di episodi dai quali aveva ricavato la convinzione che Riina avesse come suo consigliere politico Gaetano Cinà: un'indicazione forte, in quanto Cinà frequentava Dell'Utri e aveva frequentato la villa di Arcore. Cinà, inoltre, era colui che aveva organizato l'incontro di Berluconi con Stefao Bontate e Mimmo Teresi nella sede della Edilnord già nel lontano 1974.
Brusca ha confermato, poi, di essersi rivolto a Mangano tra il 1993 e il 1994, per sapere se fossero vere le indiscrezioni circolate sul setimanale "L'Espresso" in merito a rapporti di Berlusconi e Dell'Utri con la mafia e di aver ricevuto conferma dallo stalliere:
"Gli chiedo a Vittorio Mangano se era vero o non era vero [...] e quello mi conferma tutto paro paro: - Sì, vero è-. Allora dico: - Sei in condizione di ripristinare, cioè di riprendere un'altra volta i contatti con Berlusconi?-. Dice: - Sì-, dice:-Fammi vedere-. Va a Milano, torna e mi porta la risposta che è a disposizione, cioè c'è il contatto di potere riprendere con Silvio Berlusconi, però non gli domando tramite chi."

Il 21 settembre 1999, sentito dai pm di Firenze, Brusca ha dichiarato di ricordare che nel corso degli anni 1982-83 Ignazio Pullarà, reggente della famiglia di Santa Maria del Gesù a partire dall'arresto del fratello Giovan Battista, gli diceva che a Berlusconi e a Canale 5 "gli faceva uscire i picciuli", che venivano erogati con versamento mensile. Pullarà gli disse di essere subentrato in un rapporto già instaurato da Stefano Bontate, che nel frattempo era stato ammazzato. Queste notizie sono state consegnate anche ai pm nisseni in un interrogatorio del 26 giugno 1999.

Brusca ha ammesso, inoltre, in una delle varie deposizioni, di aver inviato a Berlusconi, tramite Mangano, un messaggio: il Cavaliere avrebbe potuto sfruttare le circostanze politiche dell'epoca per - attaccare il governo precedente, che era un governo di sinistra, anche se era un governo tecnico, ma era un governo di sinistra, e che se lui non sarebbe venuto incontro a noi con certe esigenze avremmo continuato -.

Nonostante queste pesanti indicazioni, quando a Brusca è stato chiesto di riferire in merito a possibili rapporti di Cosa Nostra con Berlusconi e Dell'Utri, Brusca non si è detto in grado di fornire indicazioni specifiche di sua esperienza diretta.

lunedì 19 ottobre 2009

Trattativa Stato-Mafia confermata!!

Grasso: «Trattativa Stato-mafiala vita di molti ministri salvata così»



Video
L'intervista di Grasso al Tg3

ROMA (19 ottobre) - «La trattativa tra Stato e mafia ha salvato la vita a molti ministri» ha detto il procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso, lo ha detto ieri prima in un'intervista a "La Stampa" commentando la vicenda del "papello" e poi in una al Tg3. «Per la verità - dice Grasso - le indagini precedenti avevano in qualche modo accertato l'esistenza di un tentativo di Cosa nostra di entrare in contatto col potere politico. E' processuale il contatto degli ufficiali del Ros, Mori e De Donno, con Vito Ciancimino. Ed è processualmente accertato che alla mafia, in cambio della resa dei vertici, fu offerto "un ottimo trattamento per i familiari", un "ottimo trattamento carcerario" e una sorta di "giusta valutazione delle responsabilità"».Secondo Grasso tutto questo «lascia intuire il meccanismo che Riina ripete ogni volta, che vuole in qualche modo dare vitalità a una trattativa che risulta difficoltosa. Le proposte del Ros, infatti, sembrano minime a Ciancimino che, a sua volta, si rifiuta di trasmetterle a Riina, anche per timore di ritorsione nei suoi confronti, e perciò suggerisce di 'congelarè tutto e prendere tempo. Le indagini ci diranno poi che Riina, invece, opta per accelerare i tempi e vara la fase operativa per compiere un attentato nei miei confronti. Progetto che sfuma per un disguido tecnico e anche perché in quel momento viene catturato».

Grasso: forse via D'Amelio serviva a riscaldare la trattativa. «Anche via D'Amelio - aveva detto Grasso nell'intervista - potrebbe essere stata fatta per "riscaldare" la trattativa. In principio pensavano di attaccare il potere politico e avevano in cantiere gli assassinii di Calogero Mannino, di Martelli, Andreotti, Vizzini e forse mi sfugge qualche altro nome. Cambiano obiettivo probabilmente perché capiscono che non possono colpire chi dovrebbe esaudire le loro richieste. In questo senso si può dire che la trattativa abbia salvato la vita a molti politici». Grasso cita le carte processuali e anche di un "papellino" comparso poco tempo prima del "papello": «Potrebbe essere stato consegnato ai carabinieri del Ros, al colonnello Mori che nega l'episodio, da uno strano collaboratore dei servizi che chiedeva l'abolizione dell'ergastolo per i capimafia Luciano Liggio, Giovanbattista Pullarà, Pippo Calò, Giuseppe Giacomo Gambino e Bernardo Brusca. Anche quelle richieste ovviamente finirono nel nulla perchéirrealizzabili».

Di Pietro: è gravissimo, Grasso riferisca alla Commissione antimafia. «Se c'è stata una trattativa tra Stato e mafia si aprano i cassetti e si tirino fuori i nomi - dice Antonio Di Pietro - Chiediamo alla Commissione antimafia un'immediata audizione del procuratore Grasso, affinché chiarisca le preoccupanti affermazioni riportate oggi nell'intervista. E' gravissimo che nel nostro Paese ci sia stata una struttura parallela all'interno delle istituzioni che abbia gestito gli affari con le cosche mafiose. Le zone d'ombra, le trattative sottobanco non appartengono ad uno Stato di diritto». Secondo il leader dell' Idv, «lo scenario che si sta aprendo su questa vicenda delle stragi è inquietante, soprattutto adesso che ad ammettere l'esistenza di una trattativa tra mafia e Stato è il procuratore antimafia. Grasso, tra l'altro, ha affermato che questa sarebbe stata portata avanti nell'interesse dell' incolumità personale di alcuni politici di alto rango di allora, a cominciare da Andreotti, lo stesso che una sentenza definitiva ha, nel frattempo, accertato di avere avuto rapporti con la mafia, anche se impossibili da valutare penalmente perché prescritti. Non possiamo credere che a tenere le fila della trattativa tra mafia e Stato fossero soltanto gli ufficiali dei Ros». Di Pietro chiede di «conoscere i nomi dei politici che hanno gestito i contatti con Cosa nostra, gli uomini chiave che prendevano le decisioni» e di «sapere anche qual è il prezzo che lo Stato ha dovuto pagare. Tra l'altro vorremmo capire se i magistrati più esposti erano stati avvisati e tutelati e, nel caso, se l'insufficiente tutela sia stata una conseguenza del diniego e dissenso dei magistrati alla trattativa».