giovedì 24 aprile 2008

RESISTENZA PARTIGIANA -PARTE II-

Alcune cifre sulla Resistenza
Secondo diverse fonti il numero di partigiani, partendo dalle poche migliaia dell'autunno del 1943, raggiunse alla fine della guerra una consistenza di circa 300.000 uomini. Molti studiosi pongono però dei dubbi sul reale numero di partigiani attivi alla fine della guerra, riportando cifre ben più modeste relative agli uomini e alle donne impegnati direttamente nella lotta armata, sostenendo che tra i circa 300.000 che si definiranno partigiani dopo il 25 aprile molti siano semplicemente simpatizzanti della resistenza che, pur non partecipando direttamente alle azioni partigiane, avevano fornito (rischiando comunque la vita) supporto e rifugio e che in alcuni casi vennero conteggiati tra i partigiani anche ex-fascisti ed ex-repubblichini saliti sul carro del vincitore grazie a conoscenze, alla corruzione o alla delazione di altri sostenitori della dittatura fascista o sostenitori della Repubblica Sociale Italiana (secondo le loro indicazioni non necessariamente veritiere).
Va ricordato poi che dopo il bando del febbraio 1944, che prevedeva la pena di morte per i renitenti alla leva e ai disertori, seguito nell'aprile dello stesso anno da un altro decreto che estendeva la pena di morte anche a chi aveva dato appoggio o rifugio alle brigate partigiane, e dopo diversi casi di arruolamenti forzati da parte di soldati della RSI, molti giovani preferirono cercare rifugio tra le formazioni partigiane rispetto al partire per una guerra che non condividevano (e che molti ritenevano ormai persa) o al rischiare di essere catturato e giustiziato in città insieme ai propri familiari colpevoli di avergli dato rifugio, pur non condividendo sempre gli orientamenti politici che animavano chi aveva dato vita a queste formazioni.
Alla lotta partigiana in Italia aderirono anche alcuni gruppi di disertori tedeschi, il cui numero è difficile da valutare in quanto, per evitare rappresaglie contro le loro famiglie residenti in Germania, usavano nomi fittizi e spesso venivano considerati dai loro reparti d'origine come dispersi e non disertori per una questione d'immagine. Un caso emblematico di adesione alla lotta partigiana è quello del capitano Rudolf Jacobs.In certe zone vi fu anche la presenza, notevole, di soldati sovietici passati dopo la fuga dai campi di prigionia, con i partigiani, casi eclatanti sono Fëdor_Andrianovič_Poletaev e Nikolaj Bujanov, entrambi decorati con medaglia d'oro al valor militare.
Lapide ad ignominia
Piero Calamandrei, presso il Comune di Cuneo, 1952.Lo stesso testo appare dal 12 agosto 1993 su una lapide nella piazza di S.Anna di Stazzema, luogo dell'eccidio del 12 agosto 1944.

Lo avrai camerata Kesselringil monumento che pretendi da noi italiani ma con che pietra si costruirà a deciderlo tocca a noi.Non coi sassi affumicati dei borghi inermi straziati dal tuo sterminio non colla terra dei cimiteri dove i nostri compagni giovinetti riposano in serenità non colla neve inviolata delle montagne che per due inverni ti sfidarono non colla primavera di queste valli che ti videro fuggire.Ma soltanto col silenzio dei torturati. Più duro d'ogni macigno soltanto con la roccia di questo patto giurato fra uomini liberi che volontari si adunarono per dignità e non per odio decisi a riscattare la vergogna e il terrore del mondo.Su queste strade se vorrai tornare ai nostri posti ci ritroveraimorti e vivi collo stesso impegno popolo serrato intorno al monumento che si chiama ora e sempre RESISTENZA

Si calcola che i caduti per la Resistenza italiana (in combattimento o uccisi a seguito della cattura) siano stati complessivamente circa 44.700; altri 21.200 rimasero mutilati ed invalidi; tra partigiani e soldati regolari italiani caddero combattendo almeno in 40.000 (10.260 della sola Divisione Acqui impegnata a Cefalonia e a Corfù);
Le donne partigiane combattenti furono 35 mila, mentre 70 mila fecero parte dei Gruppi di difesa della donna; 4.653 di loro furono arrestate e torturate. 2.750 furono deportate in Germania, 2.812 fucilate o impiccate; 1.070 caddero in combattimento; 15 vennero decorate con la medaglia d'oro al valor militare.
Dei circa 40.000 civili deportati, per la maggior parte per motivi politici o razziali, ne torneranno solo 4.000. Gli ebrei deportati nei lager furono più di 10.000; dei 2.000 deportati dal ghetto di Roma il 16 ottobre '43 tornarono vivi solo in quindici.
Tra i soldati italiani che dopo l'8 settembre decisero di combattere contro i nazifascisti sul territorio nazionale continuando a portare la divisa morirono in 45.000 (esercito 34.000, marina 9.000 e aviazione 2.000), ma molti dopo l'armistizio parteciparono alla nascita delle prime formazioni partigiane (che spesso erano comandate da ex ufficiali).
Furono invece 40.000 i soldati che morirono nei lager nazisti, su un totale di circa 650.000 che fu deportato in Germania e Polonia dopo l'8 settembre e che, per la maggior parte (il 90% dei soldati e il 70% di ufficiali), rifiutarono le periodiche richieste di entrare nei reparti della RSI in cambio della liberazione.
Si stima che in Italia nel periodo intercorso tra l'8 settembre 1943 e l'aprile 1945 le forze tedesche (sia la Wehrmacht che le SS) e le forze della Repubblica Sociale Italiana compirono più di 400 stragi (uccisioni con un minimo di 8 vittime), per un totale di circa 15.000 caduti tra partigiani, simpatizzanti per la resistenza, ebrei e cittadini comuni.

Processi e copertura ai nazifascisti nel dopoguerra

Per diversi motivi molti procedimenti giudiziari relativi a queste stragi non furono mai portati avanti, in parte a causa di tre successive amnistie. La prima intervenuta il 22 giugno 1946 detta "amnistia Togliatti"[1]; la seconda approvata il 18 settembre 1953 dal governo Pella che approvò l'indulto e l'amnistia proposta dal guardasigilli Antonio Azara per i tutti i reati politici commessi entro il 18 giugno 1948,[2]; la terza approvata il 4 giugno 1966.[3]Inoltre la Germania Ovest era dal 1952 alleata con l'Italia sotto l'ombrello della NATO, per cui non risultava politicamente opportuno dare risalto ad episodi ormai ritenuti parte del passato coinvolgenti cittadini tedeschi.C'era poi il rischio giudicato imbarazzante per le istituzioni italiane che il precedente di un processo in cui si chiedeva la consegna dei criminali di guerra tedeschi avrebbe poi obbligato l'Italia a consegnare a Stati esteri o a processare internamente i responsabili di crimini di guerra commessi dalle forze italiane durante il ventennio fascista e il periodo della Repubblica Sociale Italiana, sia in territorio nazionale che straniero, molti dei quali dopo la guerra erano stati riassorbiti all'interno dell'esercito o delle pubbliche amministrazioni.
Infine durante gli anni sessanta seicentonovantacinque fascicoli riguardanti le stragi nazifasciste in Italia vennero, per le ragione sopraesposte, "archiviati provvisoriamente" dal procuratore generale militare e i vari procedimenti furono bloccati, garantendo quindi l'impunità per i responsabili ancora in vita.
Solo nel 1994, durante la ricerca di prove a carico di Erich Priebke per la strage delle Fosse Ardeatine, venne scoperta l'esistenza di questi fascicoli (trovati in quello che giornalisticamente è stato definito l' Armadio della Vergogna) e alcuni dei procedimenti furono riaperti, ad esempio quello a carico di Theodor Saevecke, responsabile della strage di Piazzale Loreto a Milano, ove furono fucilati per rappresaglia 15 tra partigiani ed antifascisti. La maggior parte delle indagini e delle denunce contenute nei fascicoli non portarono tuttavia ad un processo, poiché molti degli indagati risultarono essere non perseguibili in quanto già morti o per l'intervenuta prescrizione dei reati loro ascritti.

La transizione tra la fine delle guerra e l'elezione del nuovo parlamento

Con l'avanzare del territorio liberato il potere fu preso dai partiti riuniti nel Comitato di Liberazione Nazionale CLN, che coordinavano la resistenza, una coalizione di 6 partiti uniti nella Resistenza: azionisti, comunisti, democristiani, demolaburisti, liberali, e socialisti.
Il Comitato esprimeva i governi e attraverso il Comando unificato coordinava la Resistenza. I governi che guidarono l'Italia nel trapasso furono i governi di Ivanoe Bonomi, presidente del Consiglio dal 18 giugno 1944 al 26 aprile 1945 e Ferruccio Parri, presidente dal 21 giugno 1945 al 4 dicembre 1945 preposti dal Comitato di Liberazione Nazionale CLN.
Nell'Italia liberata questi governi ottennero progressivamente il controllo dell'apparato civile e militare dello stato, in aggiunta al controllo delle forze della Resistenza di cui ab origine disponevano, avevano quindi poteri assai vasti, quasi dittatoriali.
Tuttavia nel trapasso tra la guerra e la formazione della repubblica costituzionale, vi furono dei momenti complessi, nei quali essi furono spesso scavalcati dalle singole componenti che li esprimevano.

Le esecuzioni post-conflitto e le tensioni in seno alla Resistenza
« Molta rabbia si era accumulata negli animi. Era impossibile che non esplodesse dopo il 25 aprile. Violenza chiama violenza. I delitti che hanno colpito i fascisti dopo la Liberazione, anche se in parte furono atti di giustizia sommaria, non sono giustificabili, ma sono comunque spiegabili con ciò che era avvenuto prima e con il clima infuocato dell'epoca. I fascisti non hanno titolo per fare le vittime. »
(Ermanno Gorrieri)

Diverse fonti stimano nell'ordine delle poche decine di migliaia le vittime di parte fascista delle esecuzioni ordinate dalle formazioni resistenziali (comprese le condanne a morte di esponenti del partito fascista decise dal CLNAI subito dopo la liberazione di Milano) o eseguite da gruppi ed elementi facenti riferimento al movimento partigiano, ma di fatto non si hanno cifre precise su questi fatti.
I governi espressione della Resistenza adottarono una serie di provvedimenti per identificare i responsabili di abusi (o presunti tali) ed efferatezze commesse negli anni di guerra. Furono creati organi di indagine e tribunali specifici per sanzionare tali comportamenti: erano Corti d'Assise straordinarie sotto la presidenza di un giudice di ruolo nominato dai presidenti delle Corti d'Appello (anche Oscar Luigi Scalfaro ne fece parte). Essi agirono con prontezza e severità, si ebbero numerose condanne a morte (eseguite) o a lunghe pene detentive.
I governi dell'Italia liberata furono spesso scavalcati fu nel comportamento di partigiani che non volevano smobilitare, non accettando una normalizzazione che dava impunità a numerosi criminali fascisti. Essi usarono il potere locale, che si erano guadagnati nella lotta di liberazione, autonomamente e spesso in contrasto con le direttive del governo espressione del Comitato di Liberazione Nazionale per effettuare una serie di esecuzioni, che proseguirono circa fino al 1949.
Successivamente alla "normalizzazione" post-bellica, anche un alcuni partigiani vennero sottoposto a processi per presunte "stragi" e "assassinii" compiuti nella Liberazione: il tema della persecuzione dei partigiani da parte della magistratura e delle forze politiche su cui si fondava la giovane repubblicana divenne un simbolo per molte forze di sinistra, soprattutto causa lo stridente contrasto con l'impunità di cui godettero la maggior parte degli ex-fascisti che si erano macchiati di reati simili, quando non più gravi.
Le vendette colpirono principalmente chi si era reso responsabile dei massacri del periodo squadrista, dell'entrata in guerra del Paese con le tragedie che ne sono conseguite, della deportazione di decine di migliaia di italiani in Germania (circa 650 000 militari e 40 000 civili, tra cui 7 000 ebrei), delle torture e delle persecuzioni anche indiscriminate condotte dagli occupanti nazisti e dai loro alleati "repubblichini", tuttavia non mancarono violenze di altro tipo che sfruttarono le tensioni dell'immediato dopoguerra solo come copertura.
Le ragioni di questi comportamenti sono molteplici, si può ritenere che i partigiani temessero da parte dello Stato una punizione poco efficace o peggio una totale impunità verso i gerarchi fascisti che si erano macchiati di efferate azioni contro il popolo italiano, da cui nacque la sensazione di resistenza tradita.
Questi timori risultarono spesso fondati (quasi sempre nel caso degli organi militari e di polizia), in quanto i governi successivi effettuarono una de-fascistizzazione molto blanda soprattutto nella pubblica amministrazione, provocata da necessità politiche di pacificazione nazionale che ebbero il loro culmine nell'amnistia firmata dall'allora Ministro di Grazia e Giustizia Togliatti il 22 giugno 1946 seguita, il 7 febbraio 1948, da un decreto del sottosegretario alla presidenza Andreotti con cui si estinguevano i pochi giudizi ancora in corso dopo l'amnistia.
Si possono citare tra i tanti esempi il caso del fascista commissario-torturatore Gaetano Collotti (capo della famigerata "banda Collotti" attiva nel Nord-Est), premiato dopo la guerra con un'onorificenza militare(per questo motivo Ercole Miani torturato proprio da Collotti rifiutò la medaglia d'oro al valor militare,assegnatagli postuma); il caso del funzionario di polizia che aiutò a stendere gli elenchi per la strage delle fosse Ardeatine che fece carriera dopo la Liberazione; il caso analogo dei funzionari fascisti che collaborarono alla cattura di Giovanni Palatucci (il commissario di polizia che aiutò la fuga di migliaia di ebrei); il caso del comandante della X MAS della RSI Junio Valerio Borghese, i cui uomini si erano macchianti di numerosi ed efferati crimini durante la repressione della lotta partigiana, che venne condannato a soli dodici anni di carcere per "collaborazionismo" di cui nove furono condonati per interessamento e pressioni dei servizi segreti statunitensi che lo avevano arruolato, permettendo la sua scarcerazione subito dopo il processo e il suo ingresso nella vita politica del paese come presidente onorario del MSI.
Va anche ricordato che numerose bande armate fasciste operanti durante la RSI furono composte essenzialmente da efferati criminali e che numerosi effettivi delle forze armate fasciste si fecero strumento dei nazisti, talora al di là degli stessi desideri dei loro padroni, consumando innumerevoli atti di indicibile ferocia.

Le diverse anime della Resistenza
Va sottolineato che la Resistenza antinazista fu un fenomeno generale, presente in quasi tutti i paesi controllati dalla Germania, a partire dalla Francia e che la parte finale della guerra vide il convergere sulla Germania dei sovietici da est e degli Alleati da ovest.
Nella fase finale della guerra essi erano ancora alleati ma si vedevano chiare le tensioni per la suddivisione dell'Europa post-bellica in sfere di influenza, sia militare sia economica sia ideologica e di concezione della forma dello Stato. Nei paesi liberati dai sovietici si impose sempre il loro modello, nei paesi liberati dagli angloamericani si impose sempre il loro.
Non sempre la divisione fissata con agli accordi di Yalta era accettata dalle parti in causa. In due paesi liberati dagli Anglo-Americani, la Grecia e l'Italia, le maggiori forze della Resistenza inclinavano verso il modello sovietico, di cui tra l'altro non erano all'epoca noti alcuni aspetti. Sia in Grecia sia in Italia queste aspirazioni dei comunisti vennero frustrate dall'instaurazione di uno Stato più o meno democratico basato su un'economia di tipo capitalistico.
Viceversa in Jugoslavia l'esercito partigiano guidato da Tito instaurò un regime di tipo comunista nonostante il Paese fosse stato a Yalta parzialmente attribuito al blocco occidentale.
Nella Resistenza italiana vi erano (in forma più o meno esplicitata) due correnti maggiori di pensiero: una che vedeva la Resistenza come braccio armato di un "nuovo Risorgimento" avente lo scopo di espellere dall'Italia i tedeschi e rovesciare i loro alleati fascisti, ripristinando il regime pre-fascista o comunque liberale e democratico, basato su una democrazia parlamentare di tipo occidentale, ed una più decisamente orientata a sinistra, in genere filosovietica, che considerava (pur in contrasto con le indicazioni ufficiali delle direzioni nazionali dei principali partiti di sinistra) la vittoria militare solo un presupposto per un nuovo ordine politico in Italia basato su qualche forma di comunismo, come si pensava sarebbe avvenuto nei paesi assegnati a Yalta all'area di influenza sovietica.
In verità, questa ultima interpretazione della Resistenza non era condivisa da tutti i dirigenti del PCI, in particolare Palmiro Togliatti, aveva impresso a partire dal 1944 (e non senza incontrare una certa opposizione di alcuni elementi della base) una forte moderazione della linea politica del PCI arrivando addirittura (con la cosiddetta svolta di Salerno dell'aprile 1944) a dichiarare secondaria la questione repubblica-monarchia che divideva in quel periodo il fronte antifascista.
Era tuttavia diffusa tra i militanti comunisti l'idea dell'"ora X", ossia l'illusione che dietro l'atteggiamento togliattiano di accettazione della democrazia capitalista si nascondesse un'astuta manovra tattica volta a scatenare, al momento opportuno (l'ora X), un'insurrezione comunista.
Questa parte "rivoluzionaria" della Resistenza, in molti casi militarmente maggioritaria, non considerava finita la sua funzione armata con la vittoria dell'aprile 1945 e la battaglia continuava, assumendo il carattere di lotta rivoluzionaria, eventualmente in forme nuove, con un parziale spostamento dell'identità degli avversari.
Anche da ciò derivò l'elevato numero delle vittime, principalmente fasciste, ma anche appartenenti a brigate partigiane di diverso colore politico (fiamme verdi, democristiani, liberali), preti e in molti casi semplici esponenti delle classi sociali a loro non favorevoli in caso di scontro aperto (perciò si è anche parlato di una forte componente di lotta di classe all'interno del movimento resistenziale).
Nei mesi seguenti si si ebbero fatti sanguinosi, che con intensità calante proseguirono per alcuni anni. Talvolta i responsabili o i semplici accusati di questi omicidi nel dopoguerra trovavano rifugio o venivano fatti espatriare in paesi filosovietici come la Cecoslovacchia o la Repubblica Federativa Popolare di Jugoslavia.
Tuttavia i sovietici, rispettando le spartizioni tra i due blocchi prese a Yalta, non promisero alcun appoggio ad un tentativo di presa armata del potere e il risultato negativo del tentativo rivoluzionario in Grecia smorzò molto il movimento. Lo scontro all'interno della sinistra comunista perdurò fino alla elezioni del 18 aprile 1948, quando fu del tutto chiaro che l'Italia era ormai saldamente inserita nel blocco occidentale, contrapposto a quello sovietico nell'ambito della nascente Guerra Fredda.

mercoledì 23 aprile 2008

RESISTENZA PARTIGIANA

In vista del 25 aprile, oggi e domani parlerò della Resistenza, quella fatta dai nostri nonni partigiani, morti per la nostra libertà. Quella Resistenza che Dell'Utri vuole cancellare dai libri di storia, magari mettendoci la resistenza di Mangano di fronte a i giudici...
E' per la memoria dei valori difesi dai nostri nonni che oggi, sia pure non mettendo la nostra vita in repentaglio, noi ancora Resistiamo contro questo nuovo fascismo, più subdolo, che non ti uccide il corpo ma l'anima e la mente.

Tratto da http://www.wikipedia.it/

« Tu non sai le colline dove si è sparso il sangue.Tutti quanti fuggimmo tutti quanti gettammol'arma e il nome. »
(Cesare Pavese, da La terra e la morte 9 novembre 1945)

Nel corso della seconda guerra mondiale, la Resistenza italiana (chiamata anche Resistenza partigiana o più semplicemente Resistenza) sorse dall'impegno comune delle ricostituite forze armate del Regno del Sud, di liberi individui, partiti e movimenti che, dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 e la conseguente invasione dell'Italia da parte della Germania nazista, si opposero - militarmente o anche solo politicamente - agli occupanti e alla Repubblica Sociale Italiana, fondata da Benito Mussolini sul territorio controllato dalle truppe germaniche.
Il movimento resistenziale - inquadrabile storicamente nel più ampio fenomeno europeo della resistenza all'occupazione nazista - fu caratterizzato in Italia dall'impegno unitario di molteplici e talora opposti orientamenti politici (cattolici, comunisti, liberali, socialisti, azionisti, monarchici, anarchici). I partiti animatori della Resistenza, riuniti nel Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), avrebbero più tardi costituito insieme i primi governi del dopoguerra.
La Resistenza costituisce il fenomeno storico nel quale vanno individuate le origini stesse della Repubblica italiana. Infatti, l'Assemblea costituente, eletta il 2 Giugno 1946 contestualmente allo svolgimento del referendum istituzionale, fu in massima parte composta da esponenti dei partiti del CLN (PCI, PSIUP, DC) che, in tale veste, elaborarono la Costituzione, ispirata ai princìpi della democrazia e dell'antifascismo.

« Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un Italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra costituzione. »
(Piero Calamandrei, Discorso ai giovani sulla Costituzione nata dalla Resistenza. Milano, 26 gennaio 1955).

Alla Resistenza presero parte gruppi organizzati e spontanei di diverse estrazioni politiche, uniti nel comune intento di opporsi militarmente (ove possibile collaborando con le truppe alleate) e politicamente al governo della Repubblica Sociale Italiana (RSI) e degli occupanti nazisti tedeschi. Ne scaturì la "guerra partigiana", conclusasi il 25 aprile 1945, quando l'insurrezione armata proclamata dal Comitato di liberazione nazionale per l'Alta Italia (CLNAI) consentì di prendere il controllo di quasi tutte le città del nord del paese. Era l'ultima parte di territorio italiano ancora occupata dalle truppe tedesche in ritirata verso la Germania e soggetta all'azione repressiva delle formazioni repubblichine della Repubblica Sociale Italiana cui il movimento partigiano opponeva la propria resistenza. La resa incondizionata dell'esercito tedesco si ebbe il 29 aprile, anche se in alcune città come Genova le forze tedesche si erano già arrese alle milizie partigiane nei giorni precedenti.
Per estensione, viene da taluni chiamato "Resistenza" anche il periodo che va dagli anni trenta (in cui presero vita i primi movimenti) alla fine della guerra, inglobando nel concetto di resistenza ogni forma di opposizione alla dittatura di Benito Mussolini. Si potrebbe affermare addirittura l'esistenza di un movimento resistenziale ante litteram consistente nell'opposizione anche armata all'ascesa del fascismo e alle violenze squadriste, tentata negli anni venti in particolare dalle forze di sinistra (socialisti, comunisti, anarchici, sindacati).

LE OPPOSIZIONI AL REGIME
Dopo l'omicidio del deputato socialista Giacomo Matteotti (1924) e la decisa assunzione di responsabilità da parte di Mussolini, l'Italia si incammina verso un regime dittatoriale. Il sempre maggiore controllo e le persecuzioni degli oppositori, a rischio di carcerazione e di confino, spinge l'opposizione ad organizzarsi in clandestinità in Italia e all'estero, creando una rudimentale rete di collegamenti e gettando le basi per una struttura operativa potenzialmente armabile.
Le attività clandestine tuttavia non producono risultati di rilievo, restando frammentate in piccoli gruppi non coordinati, incapaci di attaccare o almeno di minacciare il regime se si esclude qualche attentato realizzato in particolare dagli anarchici. La loro attività si limitava al versante ideologico: era copiosa la produzione di scritti, in particolare tra la comunità degli esuli antifascisti, che però di rado raggiungevano le masse. Le uniche forze che mantengono una pur labile struttura clandestina in patria sono quelle legate ai comunisti.
Solo la guerra, e in particolare lo sfascio dello Stato innescato dai fatti dell'estate del 1943, offre ai clandestini l'occasione di entrare in contatto (magari immediato) fra loro, in ciò aiutati talvolta dalle forze angloamericane che ne compresero la strategica importanza per le sorti del conflitto e che provvidero ad armarle e aiutarle anche per gli aspetti logistici. Gli esponenti della Resistenza comprendevano allora i militanti dei partiti di sinistra, i repubblicani e i popolari che erano stati perseguitati dal fascismo all'inizio degli anni venti e altre forze di carattere liberale che erano state defenestrate col consolidamento del regime dittatoriale.

Il CLN
Il movimento partigiano, prima raggruppato in bande autonome, fu successivamente principalmente organizzato dal Comitato di liberazione nazionale (CLN), diviso in CLNAI (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia) con sede nella Milano occupata e il CLNC (Comitato di Liberazione Nazionale Centrale). Il CLNAI, presieduto da 1943 al 1945 da Alfredo Pizzoni, coordinò la lotta armata nell’Italia occupata, condotta da brigate e divisioni, quali le Brigate Garibaldi, costituite su iniziativa del partito comunista, le Brigate Matteotti, legate al partito socialista, le Brigate Partito d'Azione, le Brigate Autonome, composte principalmente di ex-militari e prive di rappresentanza politica, talvolta simpatizzanti per la monarchia e spesso legate ad idee imperialiste, riportate come badogliani, ma talvolta anche dichiaratamente apartitiche come l'XI Zona Patrioti guidata dal Comandante Manrico Ducceschi ("Pippo").
Al di fuori del controllo del CNL e dei partiti che vi si riconoscevano, agirono altri piccoli gruppi partigiani, come i trockijsti di Bandiera Rossa Roma, di cui ben 68 appartenenti vennero fucilati alle Fosse Ardeatine.
Specialmente nel periodo dall'8 settembre 1943 (data della proclamazione dell' armistizio e conseguente proclama Badoglio) al 25 aprile 1945 il territorio italiano occupato dai nazisti visse una vera e propria guerra nelle retrovie. L'azione della Resistenza italiana come guerra patriottica di liberazione dall'occupazione tedesca, implicava anche la lotta armata contro i fascisti e gli aderenti alla RSI che sostenevano gli occupanti.

Il ruolo giocato nella guerra
Ad essere coinvolti in quella che viene anche chiamata guerra partigiana, si calcola siano stati dalle poche migliaia nell'autunno del 1943 fino ai circa 300.000 dell'aprile del 1945 gli uomini armati che, specialmente nelle zone montuose del centro-nord del Paese, svolsero attività di guerriglia e controllo del territorio che via via veniva liberato dai nazifascisti.
Nell'Italia centro-meridionale il movimento partigiano non ebbe altrettanta crucialità militare, sebbene nelle aree conquistate dagli Alleati nella loro avanzata verso settentrione si riunissero i principali esponenti politici che da lontano coordinavano le azioni militari partigiane, insieme alle armate alleate. Infatti l'esercito anglo-americano aveva sospinto sulla linea Gustav già dal 12 ottobre 1943 le forze tedesche che risalivano verso il nord.
Con mezza penisola liberata e la restante parte ancora da liberare, con violente tensioni sociali ed importanti scioperi operai che già nella primavera del 1944 avevano paralizzato le maggiori città industriali (Milano, Torino e Genova), le popolazioni del nord Italia si preparavano a trascorrere l'inverno più lungo e più duro, quello del 1945. Sulle montagne della Valsesia, sulle colline delle Langhe e sulle asperità dell'Appennino Ligure le formazioni partigiane erano ormai pronte a combattere.

I GAP e le SAP
Nelle città cominciarono a costituirsi nuclei partigiani clandestini denominati GAP (Gruppi di azione patriottica) formati ognuno da pochi elementi pronti a svolgere azioni di sabotaggio e di guerriglia nonché di propaganda politica. Accanto ad essi, nei principali centri urbani sorsero all'interno delle fabbriche le SAP (Squadre di azione patriottica), ampi gruppi di sostegno alle formazioni partigiane belligeranti, con l'obiettivo specifico di rendere più ampia possibile la partecipazione popolare al momento insurrezionale. Attriti sorsero, però, a questo punto su quale sarebbe stato per il movimento partigiano l'interlocutore privilegiato, politico o militare che fosse, italiano oppure alleato.
Sotto questo aspetto a poco era servita la militarizzazione "ufficiale" dei partigiani, avvenuta nel giugno 1944 con l'istituzione - riconosciuta sia dai comandi militari alleati che dal governo nazionale - del Raffaele Cadorna Jr, con vicecomandanti l'esponente del Partito Comunista Italiano Luigi Longo e quello del Partito d'Azione Ferruccio Parri).
Mentre si cominciava comunque a guardare al futuro, un altro punto di contrasto era costituito, appunto, da quello che sarebbe accaduto nel dopoguerra, che veniva avvertito ormai come prossimo. Se da un lato la guerra di liberazione accomunava diverse forze politiche, sia pure nella clandestinità e nella diversità ideologica, l'obiettivo successivo - la nuova Italia - era fonte di divergenza: i partiti della sinistra - peraltro divisi al loro interno - paventavano particolarmente un ripristino dello stato liberale prefascista; dal canto suo, il Partito d'Azione sosteneva la necessità che alle organizzazioni partigiane venisse attribuito un ruolo di rilievo nell'edificazione di una nuova democrazia in grado di sovvertire il vecchio ordinamento monarchico. La monarchia, del resto, continuava ad essere sostenuta anche dai gruppi partigiani che si riconoscevano nell'ala democratico-cristiana, liberale ed autonoma, oltre che dai soldati dell'esercito che non avevano aderito alla Repubblica Sociale Italiana.

Dall'insurrezione alla liberazione
Il 19 aprile, mentre gli Alleati dilagavano nella valle del Po, i partigiani su ordine del CLN diedero il via all'insurrezione generale. Dalle montagne, i partigiani confluirono verso i centri urbani del Nord Italia, occupando fabbriche, prefetture e caserme. Mentre avveniva ciò, le formazioni fasciste si sbandavano e le truppe tedesche allo sfacelo battevano in ritirata. Si consumava il disfacimento delle truppe nazifasciste, che davano segni di cedimento già dall'inizio del 1945 e i cui vertici si preparavano alla resa agli Alleati.
Molti centri (quali Torino, Genova e Bologna) vennero liberati ancora prima dell'arrivo degli alleati, rendendo l'avanzata di questi più rapida e meno onerosa in termini di vite e rifornimenti. In molti casi avvennero drammatici combattimenti strada per strada; i resti dell'esercito tedesco e gli ultimi irriducibili fascisti della Repubblica Sociale Italiana sparavano asserragliati in vari edifici o appostati su tetti e campanili su partigiani e civili. Tra essi e le forze partigiane avvennero talvolta vere e proprie battaglie (come a Firenze nel settembre 1944), ma solitamente la loro resistenza si ridusse a una disorganizzata guerriglia, per esempio a Parma e a Piacenza.
Il 27 aprile 1945, Mussolini, indossante la divisa di un soldato tedesco, fu catturato a Dongo, in prossimità del confine con la Svizzera, mentre tentava di espatriare assieme all'amante Claretta Petacci. Riconosciuto dai partigiani, fu fatto prigioniero e giustiziato il giorno successivo 28 aprile a Giulino di Mezzegra, sul lago di Como; il suo cadavere venne esposto impiccato a testa in giù, accanto a quelli della stessa Petacci e di altri gerarchi, in piazzale Loreto a Milano, ove fu lasciato alla disponibilità della folla. In quello stesso luogo otto mesi prima i nazifascisti avevano esposto, quale monito alla Resistenza italiana, i corpi di quindici partigiani uccisi.
Il 29 aprile la resistenza italiana ebbe formalmente termine, con la resa incondizionata dell'esercito tedesco, e i partigiani assunsero pieni poteri civili e militari.
Il 30 aprile 1945 il Comitato di liberazione nazionale Alta Italia ebbe a commentare che
« la fucilazione di Mussolini e dei suoi complici è la conclusione necessaria di una fase storica che lascia il nostro paese ancora coperto di macerie materiali e morali. »
Il 2 maggio il generale britannico Alexander ordinò la smobilitazione delle forze partigiane, con la consegna delle armi. L'ordine venne in generale eseguito e le armi in gran parte consegnate, in tempi diversi nei vari luoghi in dipendenza dell'avanzata dell'esercito alleato, della liberazione progressiva del territorio nazionale, e del conseguente passaggio di poteri al governo italiano; una parte delle forze partigiane fu arruolato nella polizia ausiliaria ad hoc costituita.

martedì 22 aprile 2008

Terremoto RAI?

Tratto da http://canali.libero.it/affaritaliani/politica/retroscenaraituttiinomichisalechirestachiscendechitremaspeciale210408.html?pg=1

Colpo di scena alla Rai. La vittoria del Centrodestra provocherà presto un vero e proprio tsunami ai massimi vertici della televisione di Stato. Secondo indiscrezioni raccolte da Affaritaliani.it, il nuovo direttore del Tg1 al posto di Gianni Riotta (in partenza, destinazione probabile il Corriere della Sera) sarà Mauro Mazza, attuale direttore del Tg2. Una vittoria quindi di Alleanza Nazionale e di Gianfranco Fini. Ma i colpi di scena non finiscono qui. Maurizio Belpietro è pronto ad andare alla guida del Tg5 (per questo avrebbe scelto come vice a PanoramaMario Sechi, per poi lasciargli la direzione) e Clemente Mimun verrebbe dirottato ai vertici della seconda rete, al posto del leghista Antonio Marano (per il quale si profila un altro incarico in Rai). Alla direzione del Tg2, al posto di Mazza, è in arrivo un leghista. O Gianluigi Paragone, ex direttore de la Padania e attualmente a Libero, oppure Milo Infante, milanese doc, amico di Feltri e conduttore del pomeriggio all’Italia sul Due.Negli ambienti vicini al Pdl - riporta il sito http://www.diacoblog.com/ - si fa un solo nome per la Direzione Generale della Rai: è quello di Mauro Masi, già Vicesegretario Generale della Presidenza del Consiglio (nel governo Berlusconi) e già Capo Dipartimento per l’Informazione e l’Editoria. Masi è stimato un po' da tutti, a destra e sinistra. Sponsorizzato abbondantemente da quell’uomo per bene e molto infuente che è Gianni Letta, Masi si prepara a “governare” la Rai con l’accordo di Veltroni e Berlusconi. Alla Presidenza di Viale Mazzini rimarrebbeClaudio Petruccioli.

IL TERREMOTO IN RAI - La netta vittoria del Centrodestra alle elezioni politiche modificherà in modo radicale, entro il termine di quest'anno, l'organigramma della Rai. C'è chi si aspetta una promozione, chi lascerà il posto, chi trema e chi spera di spiccare il volo. Una fonte interna alla televisione pubblica - massimi livelli - rivela ad Affaritaliani.it che cosa, probabilmente, accadrà nei prossimi mesi. Il primo punto è il consiglio di amministrazione, in scadenza a fine maggio. Il Partito Democratico sta tentando di rinviare il rinnovo a settembre, ma la nuova maggioranza parlamentare intende accelerare e procedere al ricambio entro il mese di luglio. Il presidente, ovviamente di garanzia, spetta all'opposizione, anche perché deve essere votato con i due terzi dei componenti della Vigilanza. E tutto lascia intendere che verrà riconfermato Claudio Petruccioli. Per quanto riguarda gli altri otto consiglieri, la legge prevede che sette vengano nominati dalla Commissione di Vigilanza Rai e uno dall'azionista di maggioranza, ovvero il ministero dell'Economia guidato da Giulio Tremonti. Il rapporto di forze sarà di cinque a quattro a favore del Centrodestra, di conseguenza tre saranno scelti tra l'opposizione (più Petruccioli) e quattro tra le fila del Popolo della Libertà-Lega, ai quali si aggiungerà il fedelissimo di Via XX Settembre.

Riconfermatissima la leghista Giovanna Bianchi Clerici. Umberto Bossi non ha alcun dubbio: ha lavorato bene e deve restare nel cda, anche perché con il nuovo scenario è possibile rilanciare la battaglia per ampliare la sede milanese. In partenza sicuramente Gennaro Malgieri, in quota An, eletto in Parlamento che verrà sostituito da un altro esponente gradito a Gianfranco Fini.
La prima nomina del nuovo consiglio di amministrazione sarà il direttore generale, dal quale dipendono poi tutti gli altri spostamenti, che vengono proposti dal d.g. e ratificati dal cda. Claudio Cappon, troppo vicino all'esecutivo uscente, è in uscita, su questo punto non ci sono dubbi. Difficile ma non impossibile un clamoroso ritorno di Agostino Saccà, attualmente alla guida di Rai Fiction, dovendo ancora risolvere la nota vertenza con l'azienda e considerando il fatto che comunque andrebbe in pensione all'inizio del 2009. Per la direzione generale in pole position c'è Fabrizio Del Noce, gradito al presidente del Consiglio in pectore, che lascerebbe così vuota la poltrona di direttore della prima rete per un altro esponente vicino a Forza Italia.

Tutti gli altri cambiamenti - assicurano da Viale Mazzini - non avverranno subito ma dopo l'estate, a partire da ottobre e comunque entro Natale. Il leghista Antonio Marano dovrebbe restare al suo posto alla guida di Rai Due, anche se non è esclusa una promozione (considerando il probabile arrivo di Mimun). Per quanto riguarda la terza rete, Paolo Ruffini sembra destinato a continuare il suo lavoro. Passando ai telegiornali, Gianni Riotta (Tg1) pare proprio che voglia a tutti i costi la direzione del Corriere del Sera, quindi, nonostante il giudizio sia positivo, molto probabilmente lascerà l'azienda. Mauro Mazza, direttore del Tg2, pare destinato, come detto, a spostarsi alla guida dell'ammiraglia Rai. Antonio Di Bella ha già le valigie pronte per trasferirsi alla guida della sede di New York, in tempo per seguire le elezioni presidenziali Usa. Al suo posto un altro esponente di Centrosinistra, ovviamente di area Pd. Non è nemmeno esclusa una promozione di Bianca Berlinguer alla direzione del Tg3. Non dovrebbe essere a rischio Antonio Caprarica, numero uno di Radio Rai. Ci sono poi moltissime altre caselle minori o intermedie che sono vuote o gestite ad interim e che verranno riempite.In ascesa Guido Paglia, direttore della Comunicazione, Relazioni Esterne e Istituzionali. In calo le quotazioni di Giuliana Del Bufalo, responsabilie Comunicazione e Immagine. In stand-by Giuseppe Nava, numero uno dell'ufficio stampa. Nello staff del direttore generale sono a rischio Nicola Claudio e Luca Santoro. A tremare è anche la poltrona di Giancarlo Leone, vicedirettore generale per il coordinamento e l'offerta.
Nel settore risorse umane e organizzazione salgono Alessandro Zucca e Guglielmo Lucioli, mentre scendono Luciano Flussi, Paolo Bianco e Alessandro Pagano. Finanzia e pianificazione, in uscita Mario Capello. A tremare è Tiberio Timperi, al fianco del perdente numero uno Pippo Baudo, che oltre a fare i conti con i pessimi ascolti di un Festival di Sanremo ormai destinato a Paolo Bonolis, faticherà a resistere pure nella trincea domenicale. Anche il reginetto della tv del pomeriggio Michele Cucuzza deve aver calcolato male i tempi della svolta democratica, col pamphlet sui ragazzi di Locri. Ora incalzano per il suo posto Massimo Gilletti e la nuova stellina delnociana Caterina Balivo.
Sono poi noti la vicinanza con gli ambienti di Fini del redivivo Cristiano Malgioglio e della nuova divetta mattiniera Eleonora Daniele. La presa della Lega, ormai totale alla Rai di Milano, non si vede solo da un concerto estivo in dialetto comasco con il cantautore del folk padano Van Der Sfroos, o dall’ascesa del milanesissimo e feltriano conduttore del pomeriggio Milo Infante all’Italia sul Due. Marano vuol dire anche la pattuglia dei vari conduttori genere radio milanese pop, Facchinetti jr, Nicola Savino, il cantautore Enrico Ruggeri e così via. Ma soprattutto la tv di Marano è Simona Ventura, e un rapporto consolidato con la Magnolia di Giorgio Gori, che pure è considerato il produttore più vicino ai Democratici: così si salverà di nuovo anche il reality 'L’Isola dei Famosi'.

lunedì 21 aprile 2008

MEMORIAL 'CALCIOPOLI' - PARTE X -

Gli arbitri sono l’ossessione di Moggi e Giraudo. Il 17 settembre, dopo i primi errori del campionati 2004-2005, Carraro strapazza Bergamo: le prime polemiche arbitrali lo infastidiscono. Moggi se la ride con Giraudo: “Ha fatto una cazziata all’Atalanta(cioè Bergamo), che è colpevolissimo!” Poi chiama Bergamo e lo rincuora: “Martedì vieni a casa da Giraudo? Ti devo dire quel che mi ha detto Carraro, ce l’ha con te di brutto”. Bergamo è ancora “incazzato nero” con il presidente per “come mi ha trattato, mi ha levato il rispetto”, e cova propositi di vendetta: “Gliela faccio pagare…non so quanto resisto ancora, gli fo fare una figura sui giornali che si deve vergognà per tutta la vita”. Lucianone tenta di placarlo: “Stà calmo, ci ho parlato io, ormai è superato, dai su…L’aggiusto io, non ti preoccupà, ho già messo tutto a posto io…Vediamocì martedì alle 7,30 a casa di Antonio”. La cena si svolge martedi 21 settembre 2004, alla vigilia di Sampdoria-Juve. Pare che partecipi anche Pairetto, che alle 22.36 telefona al figlio(in lontananza si sente la voce di Moggi) per farsi leggere “il calendario di sabato-domenica”, quarta di campionato.
Evidentemente i due designatori ne stanno parlando con i massimi dirigenti della Juve.
Sampdoria-Juventus. Il lunedì prima del match, previsto di mercoledì, vengono sorteggiati gli arbitri. Lucianone chiama Pairetto: “ Ma che, fate oggi i sorteggi?”. Pairetto: “Sì, adesso ….Comunque, abbiamo impostato bene, stiamo definendo, è tutto ok…Tutto avanti…A dopo”.
Un’ora dopo, una donna dalla Federazione chiama Moggi , forse è la Fazi: “Sono usciti gli arbitri per mercoledì”; e lui: Si si, ma li conosco già: abbiamo Dondarini” la donna è stupita: “Ah, li conosce già? Sì, Dondarini, esatto…” L’indomani un emozionatissimo Dondarini chiama Pairetto per ringraziarlo: “ Mi raccomando, Donda… Che non ci salti tutto,eh? Fai una bella partita, che lo sai che lì sono sempre…” Dondarini: “ Particolari”. Pairetto: Infatti, quindi con cinquanta occhi ben aperti…per vedere anche quello che non c’è, a volte…So che arbitrerai benissimo”. Dondarini: “Guarda, veramente, non ho parole, ti ringrazio, sono senza parole…grazie mille”. Pairetto: “Davvero, sai che sono lì con te”. La Juve vince 3-0, il primo gol è su rigore generosamente concesso; all’ultimo minuto il guardalinee segnala un rigore anche per la Samp: fallo in area su Pagano: Il Donda indica il dischetto, ma poi, quando Flachi sta per calciare, cambia idea e trasforma il penalty in corner. Finisce in rissa. L’indomani Dondarini telefona a Pairetto: “Bella battaglia, hai visto? Questi della Samp erano fuori di testa, se non c’erano i giocatori della Juve che mi aiutavano, non so come finiva la partita…Ho dovuto dare un rigore (alla Juve), che era di un netto, Gigi…Emerson mi guarda subito come a dire “Oh, ma questo è rigore” e io tranquillamente fischio e indico il rigore, solo che sai lì nessuno ha capito niente…Il pubblico…Poi per fortuna mi dicono che c’è l’inquadratura dietro la porta che fa vedere che è nettissimo… Non puoi dare un rigore perché è una grossa squadra?” Quanto al rigore dato e poi tolto alla Samp, è tutta colpa del guardalinee: “ Mi ha detto: “Donda, scusami, ho fatto una gran cazzata, non dare il rigore, è solo angolo”. Allora, sul 3-0, gli ho detto: “Ma ormai diamo il rigore”. Ma lui fa: “ No, assolutamente non darlo, perché facciamo una figura di merda”. Alla fine l’episodio non è stato bello, ma è meglio non averlo dato…Credo di averla portata via limitando i danni…”.

Il cuore di Lucianone è grande, gli permette di preoccuparsi di tutti. Perfino di Cesare Previti, l’ex ministro della Difesa condannato per corruzione di magistrati.
In una telefonata Giraudo riferisce a Moggi una confidenza del vice-presidente del Milan, Adriano Galliani, su presunte pressioni di Previti, tifosissimo della Lazio, per aiutare il presidente laziale Claudio Lotito, che ha preso il club indebitatissimo con il Fisco: “Adriano dice che lui ha litigato con Previti, perché l’ha chiamato Previti per dare una mano a Lotito…Previti gli ha detto: Guarda che lo vuole Berlusconi”. Adriano gli ha detto: Allora fammelo dire da Berlusconi , perché se Berlusconi vuole che io dia dei soldi a Lotito, siccome mi sente sempre, non ho ho problemi, ma siccome non me l’ha mai detto…”. Lucianone si offre di intervenire.