venerdì 21 marzo 2008

Forza Mafia -Parte II-

Nel 1991, quando finalmente Mangano salda il proprio debito con la giustizia e torna a vivere con la moglie e le tre figlie, il boss vorrebbe dunque riprendersi l’esclusiva del rapporto con Berlusconi e Dell’Utri.
Totò Riina però glielo impedisce. Per lui quel canale che potrebbe ancora portare fino a Bettino Craxi è troppo importante.
Mangano prova a protestare, ma è tutto inutile. Salvatore Cancemi, che è il suo capo diretto ed è anche il suo miglior amico, gli dice chiaro e tondo che Berlusconi e Dell’Utri li “ha nelle mani” Riina “per il bene di Cosa Nostra”.
Vittorio si ritira in buon ordine.
La situazione cambia all’improvviso nell’estate del 1993.
Cancemi, sospettato da Bernardo Provenzano e dagli altri boss di essere un confidente, viene invitato a un incontro durante il quale dovrà chiarire la sua posizione. Cancemi è un duro, quando si è trattato di rischiare la vita per il bene di Cosa Nostra non si è mai tirato indietro. Personalmente ha partecipato a decine di omicidi, quindi sa che da certe riunioni è facile uscirci cadavere. E, piuttosto che provare a giustificarsi, si consegna spontaneamente ai carabinieri. All’improvviso la famiglia mafiosa di Porta Nuova resta senza capo.
Vittorio Mangano fa carriera.
Viene nominato reggente della cosca, prima da solo, poi con Salvatore Cucuzza.
La forza di Mangano in quel periodo sta tutta nei buoni rapporti che ha con Dell’Utri. Del resto il futuro parlamentare, pubblicamente, non nasconderà mai la considerazione che prova per l’amico boss. Tanto che nel 1996 dirà in un’intervista televisiva: “Non vedo niente di strano nel fatto che io abbia frequentato il signor Mangano… lo frequenterei ancora adesso…”. E ai cronisti della carta stampata aggiunge: “ Se fosse fuori (Vittorio è stato riarrestato nel 1995) lo inviterei a prendere un caffè”.
Così, subito dopo le stragi, il braccio destro di Berlusconi accetta di vedere di nuovo Mangano. Per parlare di cosa però non lo dice. Davanti ai Pm, nel suo unico interrogatorio, Dell’Utri resta sul vago: “Mangano era solito ogni tanto venirmi a trovare, prospettandomi questioni di carattere personale, spesso attinenti a motivi di salute”.
Tanta reticenza, considerano i giudici, non è casuale. Quelle di Vittorio e Marcello non sono delle semplici rimpatriate. Sono qualcosa di molto simile a dei summit.
Lo spiega, una volta pentito, Salvatore Cucuzza, proprio il mafioso che con Mangano divideva la responsabilità di guidare la famiglia di Porta nuova. Cucuzza ricorda che sul finire del 1993, quando ormai Forza Italia sta per presentarsi ai nastri di partenza, Mangano fa visita a Dell’Utri “un paio di volte”. Negli incontri, che si protrarranno fino al 1995, Dell’Utri promette iniziative parlamentari favorevoli a Cosa Nostra, la modifica della legislazione del 41 bis e di altre norme, ma dice: “Dovete stare calmi, dovete stare calmi, basta col clamore, basta con la violenza. Ci vuole tranquillità per agire”.
I colloqui intavolati con il braccio destro di Berlusconi hanno una quasi immediata ripecussione sui vertici di Cosa Nostra.
Nino Giuffrè se ne accorge nelle riunioni alle quali partecipa con lo zio Binu. Gli uomini d’onore parlano sempre più spesso di politica perché da quello che accadrà a Montecitorio, Palazzo Madama e Palazzo Chigi dipende il futuro di tutti loro.
Giuffrè racconta: “Verso la fine del 1993 già si aveva sentore che si stesse muovendo qualcosa di importante nella politica nazionale. Si cominciava a parlare della discesa in campo di un personaggio molto importante: Berlusconi. All’interno di Cosa Nostra venivano portate queste notizie che per un certo periodo sono state al centro d’incontri, di dibattiti,di valutazioni molto, ma molto attente. Cioè tutte le persone che avevano sentore, notizie di questo movimento che stava per nascere, trasmettevano quello che sapevano a Cosa Nostra all’interno della quale noi, e in moodo particolare Provenzano, ne valutavamo l’affidabilità.[…]
Abbiamo degli incontri, riunioni, per valutare come ci dovevamo comportare, fino a quando il Provenzano stesso ci ha detto che eravamo in buone mani, che ci potevamo fidare. Per la prima volta Provenzano esce allo scoperto, assumendosi in prima persona delle responsabilità ben precise.
E nel momento in cui lui ci dà queste informazioni e queste sicurezze, ci mettiamo in cammino, per portare avanti, all’interno di Cosa Nostra e poi successivamente estrinsecarlo all’esterno, il discorso di Forza Italia”.
Binu il ragioniere, insomma decide con calma. Dopo che Riina aveva puntato sui cavalli sbagliati( i socialisti) sa di non poter commettere errori. Per diventare il capo dei capi deve dimostrare a tutti gli altri di essere in grado di far transitare l’organizzazione criminale fuori dalle secche in cui era finita dopo le stragi. Poi, quando i suoi più stretti consiglieri gli dicono che davvero di Dell’Utri ci si può fidare, dice: “Va bene, appoggiamo Forza Italia”.

Ricordo ancora: Tratto da “I Complici”-Tutti gli uomini di Bernardo Provenzano da Corleone al Parlamento-. Di Lirio Abbate e Peter Gomez.

Mi fermo qui, il capitolo continua spiegando sempre meglio come si è giunti a questo accordo, che non è così semplice e lineare, ma che ha diversi motivi, diverse sfumature, in cui entrano in gioco vari personaggi, famosi e non.

Comunque penso che ciò che ho riportato basti per farsi un’idea della vera storia della nascita di Forza Mafia…!

giovedì 20 marzo 2008

Forza Mafia

“Speriamo di non fare più queste cose sulla mafia, perché questo è stato un disastro che abbiamo combinato insieme, in giro per il mondo. Dalla Piovra in giù. Noi ce ne siamo resi conto, ma tutto questo ha dato del nostro paese una immagine veramente negativa…
Si pensa all’Italia, e sapete cosa viene in mente…C’è chi dice che c’è anche la mafia, nella realtà italiana. Ebbene, non so fino a che punto, rispetto alla realtà vera e operosa d’Italia. Eppoi che cos’è la mafia? Un decimillesimo, un milionesimo. Quanto sono gli italiani mafiosi rispetto a 57 milioni di italiani? E noi non vogliamo che un centinaio di persone diano una immagine negativa in tutto il mondo…”

SILVIO BERLUSCONI,
Presidente del Consiglio, 15 ottobre 1994

Tratto da ‘I complici’ di Lirio Abbate e Peter Gomez. Cap. 9 “Forza mafia”. Introduzione.

Lirio Abbate è sotto scorta per aver descritto e fatto i nomi, in questo libro, di mafiosi, politici e imprenditori che hanno aiutato Bernardo Provenzano nella sua lunga latitanza durata 43 anni.

Trascrivo l’inizio di questo capitolo del libro.

Il 2 novembre 1993, ai paini alti di Publitalia, squilla il telefono della segretaria di Marcello Dell’Utri. Un signore, dal forte accento palermitano, chiede di parlare con il dottore. Ma il numero uno della concessionaria di pubblicità della Fininvest, in quei giorni impegnato anima e corpo nella creazione di Forza Italia, non c’è. La segretaria, gentilissima, gli domanda se vuole lasciare un messaggio: “Sì, sono Mangano, Vittorio Mangano, nei prossimi giorni sarò da quelle parti, vorrei vedere il dottore”.
“Per cosa, signor Mangano?”. “Niente, le dica che è una questione personale, le dica che mi farò vivo io”.
Due giorni dopo la scena si ripete: il signor Mangano, chiama di nuovo, e questa volta spiega che arriverà per fine mese.
A pagina 315 e 316 dei bloc-notes “Omnia Labor Vincit” sui quali le collaboratrici di Dell’Utri segnano le telefonate ricevute, finiscono così due annotazioni: Mangano Vittorio sarà a Milano per parlare problema personale” e ancora: “ Mangano verso 30-11”.
Vittorio Mangano in quel momento è uscito da poco di prigione ed è appena stato nominato reggente della famiglia mafiosa di Porta Nuova. Dopo quasi vent’anni di onorata carriera, undici dei quali trascorsi in carcere per traffico internazionale di stupefacenti tra italia e Stati Uniti, finalmente ce l’ha fatta: è divenuto un capomafia e ha il diritto di parlare a tu per tu con Provenzano e Luchino Bagarella.
Con Dell’Utri il boss ha un legame antico. Nato negli anni Sessanta a Palermo, ma diventato molto più forte in Lombardia dove, a partire dal 1974, Mangano è per quasi due anni il fattore della villa di Arcore di Silvio Berlusconi. Il futuro Cavaliere lo stipendia con cinquecentomila lire al mese(pari a circa cinquemila euro di oggi) e lui segue con Dell’Utri anche i lavori di ristrutturazione di Villa San Martino. Vittorio si occupa dei contadini, del bestiame, della sicurezza della tenuta e dei suoi ospiti; Marcello riordina la biblioteca, cura la pinacoteca, il restauro delle opere d’arte e si fa insegnare dal suo amico palermitano a montare a cavallo.
Le giornate corrono veloci e spesso, a sera, la famiglia di Mangano si trova a cenare a tavola con quella di Berlusconi, poi all’imbrunire Vittorio, vestito di tweed come un perfetto gentiluomo di campagna, fa il giro del parco portando con sé sei feroci mastini napoletani.
Sono gli anni dei sequestri di persona. L’Anonima, capitanata a Milano dal corleonese Luciano Liggio, mette a segno rapimenti su rapimenti. Avere in casa un uomo come Mangano, abile con il fucile e dalle conoscenze giuste, è per tutti una garanzia di sicurezza. Come ulteriore assicurazione Berlusconi fa consegnare periodicamente a Cosa Nostra anche delle somme di denaro. Soldi che, secondo il tribunale, mettono il gruppo imprenditoriale del futuro presidente del Consoglio al riparo dal rischio mafia.
I versamenti vanno avanti per quasi due decenni. Quando Mangano finisce in prigione il denaro passa per le mani di altri uomini d’onore: prima della famiglia di Villagrazia, quella a cui era affiliato Stefano Bontate, e poi di quella di Malaspina, il clan nel cuore di Provenzano. A fare da tramite, dice la sentenza, è quasi sempre Tanino Cinà, l’amico tintore di Dell’Utri.

La trafila dei soldi targati Biscione che, una volta arrivati nelle mani di Riina, sono divisi tra le varie cosche, non è ricostruita solo da una decina di pentiti. Di quel denaro parla anche un documento eccezionale: le agende sequestrate agli uomini d’onore del quartiere palermitano di San Lorenzo, in cui i mafiosi segnavano le entrate riguardanti la loro famiglia. In quelle pagine, in corrispondenza della voce “Can.5 n.8” si legge: “990 regalo 5.000”. Traduzione del collaboratore di giustizia Giovan Battista Ferrante: dalla Fininvest nel 1990 sono arrivati, non come tangente ma come “regalo”(questa dicitura compare solo per il gruppo Berlusconi, e non per le altre imprese citate negli appunti), cinque milioni di lire. A partire dal 1988, spiega Ferante, le banconote giungevano a Palermo ogni sei mesi(secondo i collaboratori di giustizia l’ammontare del “regalo” a Cosa Nostra che inizialmente era di 25 milioni di lire, poi saliti a 100 a fine anni Ottanta, aveva raggiunto 200 milioni di lire l’anno. Soldi versati ogni 6 mesi e poi divisi tra le varie famiglie. Per questo nel 1990 a quella di San Lorenzo sarebbero arrivati 5 milioni) e finivano anche nelle casse del clan di San Lorenzo perché in quel territorio sono collocate le antenne e la sede delle emittenti televisive del Cavaliere.

Continua…

mercoledì 19 marzo 2008

Quello che le TV non dicono...

Ascoltando i dibattiti politici in Tv mi viene il voltastomaco. Più che altro mi infastidisce il fatto che ogni dibattito viene proposto come una cosa seria.
Tutti, o quasi, sanno che i politici in Tv ci vanno per prendere voti, non per far capire alla gente il loro pensiero o, tantomeno, informare sulle novità del Paese.
Discutono spesso delle stesse tematiche, spesso con gli stessi argomenti da almeno 10 anni, cioè da quando ho memoria io, per chi è più grande di me forse ascolta le stesse frasi da una vita…
Tolti alcuni bei servizi, e qualche rara puntata( vedi processo Dell’Utri con la famosa telefonata del Cainano, processo Cuffaro, caso De Magistris-Forleo,e poche altre, tra l’altro tutte trasmissioni di Santoro), le altre puntate e le altre trasmissioni sono utili più per i politici che per gli ascoltatori, che subiscono una visione distorta della realtà.
Non si può prescindere dal fatto che alcune verità storiche possano essere messe in discussione.
Molti discorsi e teorie cadrebbero all’’istante.
Per Es.:
1)Non si può parlare di Chiesa e Vaticano, senza rinfacciarli Marcinkus, Calvi,Ior, Opus Dei e tutte le loro conquiste pecunarie come l’otto per mille e l’abolizione dell’ici, per non parlare dei rapporti con personaggi legati a mafia, massoneria deviata, servizi segreti e dittatori sudamericani.
2) Non si può parlare di Andreotti senza constatare che è stato riconosciuto mafioso fino al 1980.
Un fatto su tutti: sapeva che la mafia voleva uccidere Piersanti Mattarella, e lui non disse niente. Una volta ucciso, tornò a parlare con il capo-mafia per lamentarsi, ma continuò a tenere quel piccolo segreto per sé.
3)Non si può parlare di economia e banche senza far saper come si sono comportati in passato le grandi Banche d’Italia, dal fallimento dell’Ambrosiano, al riciclaggio di denaro sporco della banca Rasini, al comportamento di Fazio come governatore della Banca d’Italia, ai rapporti continui con ambienti mafiosi e massonici nel passato e nel presente, ecc. Chi è Geronzi? E Cuccia? Mah…!
4)Non si può parlare di certi politici italiani coinvolti in Tangentopoli, dandogli credito come se fossero dei novellini con idee fresche. Tantomeno riabilitare Craxi.
5) Non si può parlare di immigrazione, clandestini, ecc. se non si conoscono usi e costumi del loro paese di provenienza, la loro cultura, le loro leggi. Non si può giudicare la cultura di uno straniero avendo come punto di riferimento la tua cultura. La Generalizzazione è Nazista. Impariamo a distingure, conoscere,e poi eventualmente giudicare e decidere.
6)Non si può parlare di mafia, camorra, n’drangheta, senza parlare dei loro rapporti stretti con politici e imprenditori, cardinali e massoni. Facendo i nomi di tutti. Passato e presente. Vivi e morti. Pezzi grossi e non.Riina e Berlusconi. Provenzano e Dell’Utri. Craxi e Riina. Andreotti e Badalamenti. Bontate e Andreotti. Bontate e Berlusconi. Cuffaro e Provenzano. Bassolino e la camorra. D’Alema e la Sacra Corona Unita. I comunisti siciliani e Provenzano. Ecc…
7) Non si può parlare di Berlusconi senza raccontare che ha preso soldi dalla mafia, dal Vaticano tramite Calvi, avuto favori dalla mafia di Bontate, Riina,Provenzano, compreso i voti, naturalmente.
Comprato la sentenza che gli ha dato la Mondadori, corrotto Craxi(che sforzo!) per avere diritti televisi ed eludere le leggi, cambiato le leggi per non finire condannato nei suoi infiniti processi.
Non considerarlo vittima perché perseguitato, ma ladro perché ha rubato. Far cadere i luoghi comuni: Fininvest stava fallendo, non era ricco. Non si è fatto da solo, i soldi non erano suoi come ho detto prima, ecc. E’ stato piduista con Licio Gelli. Non ha mantenuto le promesse elettorali, ci ha riportato in guerra.

Potrei continuare, ma mi fermo qui, un riassunto ci stava.
Tutto questo deve essere messo alla base di ogni discussione politica. So che ci sono altri temi importanti come scuola, sanità, trasporti, ecc. ma, apparte che non se ne parla quasi mai( chi si ricorda una discussione sui problemi della scuola?),il discorso è sempre quello: ogni aspetto va discusso e valutato partendo dalla sua storia, e la storia di ogni situazione italiana è legata a intrecci tra politica, mafia, banche, Vaticano, massoneria, servizi segreti, ecc., chi più, chi meno.
Non a tutto si è arrivati alla verità, ma alcune cose sono sicure.
I 7 punti di prima sono verità certificate, che tutti devono sapere, nessuno può dubitarne.
Inoltre non ho detto nemmeno tutto…

Anche se un fatto penalizza un politico piuttosto che un altro, ciò non significa che sia una opinione politica. Un fatto è tale perché incontestabile, chi lo trasforma in opinione è un alchimista, non un politico o giornalista, quindi deve scomparire dai dibattiti politici.
Se tutti i partecipanti ad un dibattito politico non accettano la verità accertata dal corso della storia, tale dibattito, qualunque sia il tema, non ha senso.

martedì 18 marzo 2008

Novità al processo Dell'Utri.

Per chi sa che c'è il processo Dell'Utri, ho trovato queste informazioni sul perchè del ritardo dell'appello. Non sono buone news per Marcello e il caro Silvio...
Se qualcuno ne avesse parlato sarebbe scoppiato il caos, essendo notizie gravissime, ma per fortuna in Italia sappiamo tenere bene l'ordine...Buona lettura!

Domenico Gozzo e Antonio Ingroia, hanno presentato motivi d'appello segnalando tre nuovi capitoli che aggiungono elementi d'accusa contro Dell'Utri: i rapporti con il sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino; la scoperta di una Fininvest Gran Cayman, emersa nell'inchiesta romana sulla morte del banchiere Roberto Calvi; i contatti tra casa Dell'Utri e Vito Roberto Palazzolo, boss latitante in Sudafrica.

L'assegno di Ciancimino. Un'inchiesta su Massimo Ciancimino, figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo, ha permesso di raccogliere una nuova prova sui rapporti tra Ciancimino padre e l'allora nascente Fininvest, di cui Dell'Utri era l'ambasciatore in Sicilia. In una telefonata intercettata il 5 marzo 2004 tra i fratelli Massimo e Luciana Ciancimino, la seconda riferisce di essere stata chiamata da un certo «Gianfranco» (Miccichè?), legato a Silvio Berlusconi, che l'aveva invitata alla manifestazione a Palermo per i dieci anni di Forza Italia.
Era l'occasione buona, aveva detto «Gianfranco», per farle conoscere Berlusconi. A questo punto Massimo Ciancimino interviene dicendo che in quell'incontro avrebbe potuto finalmente restituire a Berlusconi un assegno di 35 milioni consegnato anni prima al padre e conservato per tutto questo tempo «nella sua carpetta». Oggi Gozzo e Ingroia si chiedono (e vorrebbero chiedere aDell'Utri): quando e perché quell'assegno passò dalla Fininvest a Ciancimino?

La Fininvest Gran Cayman. Da un'altra inchiesta, quella romana sulla morte di Calvi - a cui ha collaborato come consulente della procura Francesco Giuffrida, già consulente a Palermo per il processo Dell'Utri - è emerso un antico rapporto societario tra Berlusconi e il banco Ambrosiano. Robinson Geoffrey Wroughton, che per la società di revisione Touche ha condotto accertamenti su richiesta della Liquidazione del Banco Ambrosiano Holding di Lussemburgo, ha confermato che questa holding lussemburghese controllata da Calvi ha compiuto nei primi anni Settanta investimenti in società ricollegabili alla Fininvest. E ha indicato il report Lovelock come luogo dove sarebbe conservata traccia di quelle operazioni finanziarie: Lovelock era una Anstalt del Liechtenstein che negli anni Settanta fondò la Banca del Gottardo. Giuffrida segnala gli esborsi di Capitalfin International Ltd, società della cosiddetta «costellazione estera» dell'Ambrosiano, verso la Fininvest Limited-Gran Cayman, società riconducibile a Berlusconi.
Gozzo e Ingroia a questo proposito chiedono che siano sentiti come testi Wroughton, Giuffrida e Carlo Calvi, figlio del banchiere dell'Ambrosiano, che ha già accennato a rapporti tra il padre e Berlusconi. Entrambi erano iscritti alla P2, come pure i funzionari della Bnl che agivano nelle fiduciarie Capitalfin (galassia Ambrosiano) e Servizio Italia (galassia Fininvest). Calvi fu in quegli anni «beneficiario di ingenti finanziamenti da parte di ambienti mafiosi». Quegli stessi ambienti presso cui Dell'Utri svolgeva la sua funzione di mediazione, per conto della Fininvest e di Berlusconi, «vittima consapevole» (come hanno scritto i pm) del rapporto che il suo collaboratore aveva stretto con gli uomini di Cosa nostra.

Palazzolo e l'affare africano. La terza richiesta di Gozzo e Ingroia riguarda i rapporti tra Marcello Dell'Utri e Vito Roberto Palazzolo, nato a Palermo ma riparato in Sudafrica, dove è conosciuto anche come Robert von Palace Kolbatschenko. Grande riciclatore dei narcodollari della Pizza connection, Palazzolo è considerato uomo d'onore della famiglia di Partinico, legata all'ala corleonese di Cosa nostra. Secondo il collaboratore di giustizia Antonino Giuffrè, Palazzolo è sempre stato vicino all'ultimo grande capo di Cosa nostra, Bernardo Provenzano, di cui ha curato alcuni interessi economici in varie parti del mondo. Negli anni, von Palace è diventato potente e ricchissimo, proprio grazie alla sua attività di riciclaggio di denaro di provenienza illecita e agli investimenti «dei ricavati di sua pertinenza nelle attività oggi a lui facenti capo».
Ebbene, è proprio questo Palazzolo dall'altissimo profilo finanziario (e criminale) che ha contatti con Dell'Utri e la sua famiglia. La sorella, Sara Palazzolo, che gestisce gli interessi in Italia di Vito Roberto, è più volte entrata in contatto con il manager di Berlusconi e i suoi familiari. Preoccupato per le rogatorie chieste dalla procura di Palermo e temendo che queste potessero sfociare in una richiesta d'estradizione, Palazzolo spinge la sorella a premere su Dell'Utri perché si attivi contro questa eventualità, perché intervenga a risolvere i problemi giudiziari e «ministeriali» (come bloccare, appunto, l'eventuale richiesta d'estradizione). In effetti, le cose per Palazzolo finirono bene. I contatti sono provati da alcune telefonate intercettate nel 2003, che i due pm ritengono «assolutamente necessarie» per la decisione del processo d'appello, perché dimostrano che «Dell'Utri accetta di incontrarsi con Palazzolo, uomo d'onore di Partinico, per il tramite della sorella (anch'essa imputata di associazione mafiosa)». E offre in cambio soci e capitali per investimenti in Angola, un «affare africano» per cui viene chiesto anche il sostegno di Berlusconi.
In una delle telefonate intercettate, registrata il 26 giugno 2003, Palazzolo dice alla sorella: «Non devi convertirlo, è già convertito...». Intendendo, secondo i magistrati, che Dell'Utri ha rapporti d'antica data con Cosa nostra e quindi è già disponibile. Per questo, scrivono Gozzo e Ingroia, «si fa istanza che la corte d'appello voglia richiedere al Senato della Repubblica l'autorizzazione alla utilizzazione» delle telefonate di Dell'Utri, protette e inutilizzabili perchè intercettate a un senatore.

lunedì 17 marzo 2008

Memorial "Calciopoli" Parte 'V'

Nell’aprile 2007 il processo doping finisce in Cassazione, dove l’assoluzione d’appello viene ribaltata e fatta a pezzi. È un verdetto che, insieme allo scandalo Calciopoli, mette una pietra tombale sulla stagione trionfale della triade Moggi-Giraudo-Bettega. Una stagione, secondo la Suprema Corte, pesantemente viziata da un “disegno criminoso” iniziato nel luglio ’94 e durato fino al settembre ’98 (quando partì l’inchiesta): le prestazioni dei calciatori erano alterate sia con sostanze proibite, sia somministrando farmaci leciti su atleti sani. Le 49 pagine di motivazioni depositate dalla II sezione penale accolgono le richieste del Pg Monetti e annullano l’assoluzione d’appello, dichiarando i reati commessi, ma prescritti dal 1° aprile 2007. Ampiamente confermate le tesi dei pm Guariniello, Colace e Panelli. Scavalcata addirittura la sentenza del Tribunale che condannò il solo medico Riccardo Agricola e assolse con formula dubitativa l’ad Antonio Giraudo: colpevole anche lui.

Anzitutto i giudici sostengono l’applicabiltà al doping della legge 401/1989 sulla frode sportiva: il legislatore “ha previsto un’autonoma ipotesi di reato per l’autodoping, e quindi più in generale per per la somministrazione di sostanze stupefacenti da parte di terzi”.
Non solo per proteggere la salute dei giocatori, ma anche per tutelare “la regolarità e la correttezza delle competizioni, poste in pericolo dalla sleale alterazione chimica delle prestazioni”.
La Corte d’appello, negando ilreato di doping, aveva torto: se avesse sposato l’interpretazione corretta, i due imputati sarebbero stati condannati ben prima della prescrizione: “Questo collegio ha ritenuto la condotta degli imputati integri il delitto di cui all’articolo 1 della legge 401/89, apparendo condivisibli quanto al resto le affermazioni della Corte territoriale con riferimemto all’equiparazione della posizione degli imputati”.

Cioè al ruolo paritario di Giraudo e Agricola. La loro assoluzione dunque “va annullata” per la somministrazione di farmaci leciti, ma anche di quelli illeciti contenuti nelle liste “proibite dal Coni: “Con riferimento alle sostanze vietate diverse dall’Eritropoietina è condivisibile il rilievo del Pg, che ha censurato l’affermazione della Corte territoriale” secondo cui “le sostanze diverse dall’Epo sarebbero state praticamente ignorate nella vicenda processuale”. Al contario, la perizia del farmacologo Eugenio Muller “si era occupata specificamente dei corticosteroidi, categoria cui appartengono le sostanze vietate” trovate nello spogliatoio bianconero, e cioè: “Depomedrol fiale, Deflan compresse, Flantadin compresse, Flebocortid fiale, Solumedrol fiale, Bentelan fiale, e compresse” e così via.Anche su questo punto, l’assoluzione d’appello soffre di “motivazione carente e generica”. Perciò si dispone “ l’annullamento della sentenza impugnatta in ordine alle sostanze non vietate e vietate diverse dall’Epo”: “senza rinvio perché il reato è estinto per intervenuta prescrizione”.
Se il processo fosse durato un po’ meno, sarebbe stato ordinato un nuovo appello. Cassata l’assoluzione anche per il reato di “somministrazione di farmaci in modo pericoloso per la salute”, anch’essa per “motivazione carente”.

Infine il capitolo Epo, aperto dal perito del Tribunale giuseppe D’Onofrio: la sua perizia fu ritenuta dalla Corte d’Appello insufficiente per dimostrare anche di quella sostanza vietata.
Qui, e solo qui, la cassazione conferma l’assoluzione di Giraudo e Agricola.
Ma anche in questo caso la Tv e gran parte della carta stampata sorvolano sulla differenza abissale tra prescrizione e assoluzione, e raccontano la favoletta della “Juve assolta anche in Cassazione”.
Moggi e Giraudo, però, sono ormai lontani.
Nella “nuova” Juve del presidente Cobolli Gigli e il ds Blanc l’unico superstite è il dottor Agricola.
Che nemmeno la nuova gestione ha avuto il coraggio di licenziare.