giovedì 20 marzo 2008

Forza Mafia

“Speriamo di non fare più queste cose sulla mafia, perché questo è stato un disastro che abbiamo combinato insieme, in giro per il mondo. Dalla Piovra in giù. Noi ce ne siamo resi conto, ma tutto questo ha dato del nostro paese una immagine veramente negativa…
Si pensa all’Italia, e sapete cosa viene in mente…C’è chi dice che c’è anche la mafia, nella realtà italiana. Ebbene, non so fino a che punto, rispetto alla realtà vera e operosa d’Italia. Eppoi che cos’è la mafia? Un decimillesimo, un milionesimo. Quanto sono gli italiani mafiosi rispetto a 57 milioni di italiani? E noi non vogliamo che un centinaio di persone diano una immagine negativa in tutto il mondo…”

SILVIO BERLUSCONI,
Presidente del Consiglio, 15 ottobre 1994

Tratto da ‘I complici’ di Lirio Abbate e Peter Gomez. Cap. 9 “Forza mafia”. Introduzione.

Lirio Abbate è sotto scorta per aver descritto e fatto i nomi, in questo libro, di mafiosi, politici e imprenditori che hanno aiutato Bernardo Provenzano nella sua lunga latitanza durata 43 anni.

Trascrivo l’inizio di questo capitolo del libro.

Il 2 novembre 1993, ai paini alti di Publitalia, squilla il telefono della segretaria di Marcello Dell’Utri. Un signore, dal forte accento palermitano, chiede di parlare con il dottore. Ma il numero uno della concessionaria di pubblicità della Fininvest, in quei giorni impegnato anima e corpo nella creazione di Forza Italia, non c’è. La segretaria, gentilissima, gli domanda se vuole lasciare un messaggio: “Sì, sono Mangano, Vittorio Mangano, nei prossimi giorni sarò da quelle parti, vorrei vedere il dottore”.
“Per cosa, signor Mangano?”. “Niente, le dica che è una questione personale, le dica che mi farò vivo io”.
Due giorni dopo la scena si ripete: il signor Mangano, chiama di nuovo, e questa volta spiega che arriverà per fine mese.
A pagina 315 e 316 dei bloc-notes “Omnia Labor Vincit” sui quali le collaboratrici di Dell’Utri segnano le telefonate ricevute, finiscono così due annotazioni: Mangano Vittorio sarà a Milano per parlare problema personale” e ancora: “ Mangano verso 30-11”.
Vittorio Mangano in quel momento è uscito da poco di prigione ed è appena stato nominato reggente della famiglia mafiosa di Porta Nuova. Dopo quasi vent’anni di onorata carriera, undici dei quali trascorsi in carcere per traffico internazionale di stupefacenti tra italia e Stati Uniti, finalmente ce l’ha fatta: è divenuto un capomafia e ha il diritto di parlare a tu per tu con Provenzano e Luchino Bagarella.
Con Dell’Utri il boss ha un legame antico. Nato negli anni Sessanta a Palermo, ma diventato molto più forte in Lombardia dove, a partire dal 1974, Mangano è per quasi due anni il fattore della villa di Arcore di Silvio Berlusconi. Il futuro Cavaliere lo stipendia con cinquecentomila lire al mese(pari a circa cinquemila euro di oggi) e lui segue con Dell’Utri anche i lavori di ristrutturazione di Villa San Martino. Vittorio si occupa dei contadini, del bestiame, della sicurezza della tenuta e dei suoi ospiti; Marcello riordina la biblioteca, cura la pinacoteca, il restauro delle opere d’arte e si fa insegnare dal suo amico palermitano a montare a cavallo.
Le giornate corrono veloci e spesso, a sera, la famiglia di Mangano si trova a cenare a tavola con quella di Berlusconi, poi all’imbrunire Vittorio, vestito di tweed come un perfetto gentiluomo di campagna, fa il giro del parco portando con sé sei feroci mastini napoletani.
Sono gli anni dei sequestri di persona. L’Anonima, capitanata a Milano dal corleonese Luciano Liggio, mette a segno rapimenti su rapimenti. Avere in casa un uomo come Mangano, abile con il fucile e dalle conoscenze giuste, è per tutti una garanzia di sicurezza. Come ulteriore assicurazione Berlusconi fa consegnare periodicamente a Cosa Nostra anche delle somme di denaro. Soldi che, secondo il tribunale, mettono il gruppo imprenditoriale del futuro presidente del Consoglio al riparo dal rischio mafia.
I versamenti vanno avanti per quasi due decenni. Quando Mangano finisce in prigione il denaro passa per le mani di altri uomini d’onore: prima della famiglia di Villagrazia, quella a cui era affiliato Stefano Bontate, e poi di quella di Malaspina, il clan nel cuore di Provenzano. A fare da tramite, dice la sentenza, è quasi sempre Tanino Cinà, l’amico tintore di Dell’Utri.

La trafila dei soldi targati Biscione che, una volta arrivati nelle mani di Riina, sono divisi tra le varie cosche, non è ricostruita solo da una decina di pentiti. Di quel denaro parla anche un documento eccezionale: le agende sequestrate agli uomini d’onore del quartiere palermitano di San Lorenzo, in cui i mafiosi segnavano le entrate riguardanti la loro famiglia. In quelle pagine, in corrispondenza della voce “Can.5 n.8” si legge: “990 regalo 5.000”. Traduzione del collaboratore di giustizia Giovan Battista Ferrante: dalla Fininvest nel 1990 sono arrivati, non come tangente ma come “regalo”(questa dicitura compare solo per il gruppo Berlusconi, e non per le altre imprese citate negli appunti), cinque milioni di lire. A partire dal 1988, spiega Ferante, le banconote giungevano a Palermo ogni sei mesi(secondo i collaboratori di giustizia l’ammontare del “regalo” a Cosa Nostra che inizialmente era di 25 milioni di lire, poi saliti a 100 a fine anni Ottanta, aveva raggiunto 200 milioni di lire l’anno. Soldi versati ogni 6 mesi e poi divisi tra le varie famiglie. Per questo nel 1990 a quella di San Lorenzo sarebbero arrivati 5 milioni) e finivano anche nelle casse del clan di San Lorenzo perché in quel territorio sono collocate le antenne e la sede delle emittenti televisive del Cavaliere.

Continua…

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