venerdì 4 aprile 2008

Di chi è la colpa?

Mi sono sempre chiesto qual è il modo migliore per fermare Berlusconi e il berlusconismo dilagante. Combatterlo a viso aperto rinfacciandogli tutti i suoi errori e svelando i suoi lati oscuri, o ignorarlo, sminuirlo, non dargli la possibilità di parlare di comunisti, ecc…?
Finora nel panorama politico abbiamo assistito alla seconda tesi, tranne rare eccezioni, e il risultato è stato 15 anni di berlusconismo e un colossale adeguamento ad uno stile di vita piatto e misero, come degni sudditi del suo reame.
Molte persone con gli anni hanno imparato ad amarlo e condividerne le idee.
Da dove prende questa forza? Certo le televisioni hanno un ruolo fondamentale nel plagiare le menti, specie quelle più deboli e culturalmente impreparate. Ma può bastare?
Ricordiamoci che tecnicamente era ineleggibile, ma nessuno lo sapeva, nel 1994, e chi lo sapeva stava zitto, chi lo diceva, non contava nulla. Poi s’è trovato un’escabotage per rendere ineleggibile Confalonieri e non lui…
Ma le persone, ripeto, non lo sapevano, e chi lo sapeva continuava a tacere, a non rispettare la Costituzione. Perché?
Alcuni diranno: è stato favorito dal caos precedente, Tangentopoli, le stragi, l’accordo con Provenzano e chissà quant’altro. E comunque sia il primo governo durò poco.
Amcora la massa elettorale era ignorante, ma non berlusconizzata.
Dopo sappiamo tutti cosa successe: Prodi, la crisi, D’Alema, la Bicamerale. Ogni volta che Berlusconi è in crisi, la classe politica per una sorta di macabra solidarietà, lo resuscita.
Bossi diceva peste e corna sul suo conto, il mafioso di Arcore lo chiamava già nel 1995, ma la gente non lo sapeva, e chi lo sapeva taceva, come sempre. Poi dopo 6 anni quando in Tv apparvero un giornalista e un comico che dissero, prima delle elezioni del 2001, parte delle cose dette in precedenza da Bossi e la Lega, che nel frattempo rinnegò tutto, sotto lauto compenso, scoppiò il finimondo.
Per la prima volta qualcuno che sapeva non taceva, una rivoluzione…!
Per la prima volta The dark side of Berlusconi era a conoscenza di una buona parte dell’elettorato, non solo dei lettori della Padania del 1995.
Ma la gente lo volle comunque al governo, nonostante sapesse che su di lui incombevano gravi accuse, spesso documentate, ma alla fine prevalse l'idea che fossero strumentali. Un muro contro muro, in cui la verità non esisteva. I fatti scomparvero, rimasero solo le opinioni politiche. Era un opinione che Mangano vivesse a casa sua sapendolo mafioso. Era un’opinione la magistratura giacobina, comunista, politicizzata.
Si è andato avanti così, le persone convinte che nulla fosse vero, che ognuno faceva solo i suoi interessi. L’ideologia dominante era: tiramo avanti a campà, l’importante è che io e la mia famiglia lavoramo e avemo soldi per vive. E gli avversari politici? Non si deve demonizzare l’avversario, la frase più ricorrente.
Legittimato dal voto dei suoi sudditi, rimasto senza reali avversari, eliminati quelli rimasti, la plebe ancora immune dal suo virus si infettò, e rimasero solo pochi superstiti. Alcuni scelsero di combatterlo raccontando i suoi sventurati incontri di terzo tipo e problemi giudiziari, ma quelli che contavano scelsero la via della ragionevolezza e confronto con rispetto.
Ogni anno la memoria collettiva svaniva, fatti recenti sembravano appartenere a epoche passate.
Il silenzio e l’accettazione di ogni violenza era accettata con buon gusto, anzi, è giusto si diceva.
Forse non rendendosi conto della violenza subita, forse si. L’importante sono i soldi.
Poi di nuovo Prodi, ma ormai era tardi, il berlusconismo era entrato nelle menti dell’80% delle persone, anche di chi non lo vota, di chi pensa di essere di sinistra, o comunista. E infatti tra poco si rivota e molto probabilmente rivincerà per la terza volta. Ma conta poco. Andrò a votare ma è la gente che cambia un paese, non chi lo rappresenta.
E se la gente è lo specchio di un virus, l’antidoto non può essere solo osservarlo con un telescopio, ma devastarlo al suo interno, dopo averlo analizzato e creare un' ambiente sano per isolarlo.
Utopia, forse. Ma Resistere non costa nulla. E io Resisto.
Resisto contro una classe politica corrotta, capace di incorporare mafiosi e ladri e isolare meritevoli e onesti.
Resisto contro fighetti di destra e sinistra, ribelli e conservatori per il proprio tornaconto, abulici dell’indifferenza.
Resisto contro la generalizzata rassegnazione al nulla, a chi dall’altezza della propria presunta intelligenza, sceglie la via degli ignavi.
Resisto, quindi, al tragico connubio tra malapolitica supportata e sopportata da nauseanti pseudocittadini.

giovedì 3 aprile 2008

PER CHI VOTA LA MAFIA?

Per chi vota la mafia
di Peter Gomez
L'amico del killer che uccise Falcone, i notabili sotto processo o assolti per cavilli, i parenti stretti dei padrini. Tutti i nomi nelle liste di Udc, Pdl e Pd. Ecco il peso dei boss nelle elezioni

Se le cose andranno come devono andare, se in Sicilia l'Udc supererà la soglia dell'8 per cento dei voti, nel prossimo Senato siederà un uomo che Giovanni Brusca, il capomafia killer del giudice Giovanni Falcone, considerava "un amico personale". Si chiama Salvatore Cintola, ha 67 anni, è laureato in lingue e in vita sua è stato prima repubblicano, poi socialdemocratico e quindi socialista. Per qualche settimana ha anche militato in Sicilia Libera, un movimento indipendentista creato nel '93 per volere del boss Luchino Bagarella. Ma alla fine ha scoperto una vocazione per il centro ed è passato alla corte di Totò Cuffaro diventando deputato regionale sull'onda di migliaia di preferenze (17.028 nel 2006). Due anni fa ad Altofonte, raccontano le intercettazioni, la sua campagna elettorale era stata condotta pure dagli uomini d'onore, ma farsi votare dalla mafia non è un reato. Frequentare i boss neppure. E così la posizione di Cintola, iscritto per ben quattro volte nel giro di 15 anni sul registro degli indagati della procura di Palermo, è stata come sempre archiviata.Cintola, numero quattro del partito di Casini nella corsa a Palazzo Madama, può insomma tentare liberamente il gran salto in Parlamento. E se ce la farà si troverà in compagnia di una foltissima pattuglia di amici, parenti, soci, complici veri, o presunti, di mafiosi, 'ndranghetisti e camorristi. Sì perché mentre Confindustria espelle non solo i collusi, ma persino chi paga il pizzo (persone cioè che codice alla mano non commettono un reato, ma lo subiscono), Udc, Pdl, e, in misura minore, il Pd, di fronte al rischio mafia chiudono gli occhi. Nelle tre regioni del sud, Sicilia, Calabria e Campania, quello della criminalità è infatti un voto organizzato, al pari di quello delle associazioni dei precari (voti in cambio dei rinnovi dei contratti pubblici) o del volontariato (voti contro finanziamenti). Quanto pesi dipende dalle zone. In alcuni comuni della Calabria, ha spiegato il pm Nicola Gratteri, sposta fino al 20 per cento dei consensi. Numeri analoghi li fornisce a Napoli il sociologo Amato Lamberti che parla di una "joint venture criminale tra camorristi, imprenditori spregiudicati e e politici affaristi, in grado di orientare su tutta la regione il 10 per cento dell'elettorato". Mentre a Palermo, il vicepresidente della commissione antimafia Beppe Lumia (Pd), spiega: "I voti che Cosa nostra controlla sono circa 150mila. Sono una sorta di utilità marginale che, indipendentemente dai sistemi elettorali, serve per raggiungere gli obiettivi: o la quota dell'8 per cento al Senato, o la vittoria complessiva in caso di testa a testa. Solo alla fine della campagna elettorale, comunque, chi opera sul territorio può rendersi conto delle scelte delle cosche. È a quel punto che i mafiosi lanciano segnali: sanno di essere forti e lo fanno pesare".

Già, i segnali, ma quali? I colloqui intercettati durante le ultime consultazioni narrano che Cosa nostra, quando si vede richiedere il voto, sceglie spesso la linea dell'understatement. "Allora noi ci muoviamo. Però con riservatezza, come merita lui, con molta pacatezza, capisci (altrimenti) gli facciamo danno", dicevano nel 2001 i mafiosi di Trabia a chi domandava loro un appoggio per la candidatura di Nino Mormino, l'ex vice-presidente della commissione Giustizia della Camera, oggi lasciato in panchina dal Pdl. Non è insomma più epoca di evidenti passeggiate sotto braccio con il capomafia del paese. E a Palermo, per accorgerti di cosa sta succedendo, devi saper identificare i nomi e i volti di chi distribuisce manifestini o santini elettorali. Per le politiche del 2006, per esempio, tra ragazzi del motore azzurro, l'organizzazione voluta da Marcello Dell'Utri (condannato in primo grado per concorso esterno e in secondo per tentata estorsione), figurava tutta la famiglia di Rosario Parisi, il braccio destro del boss Nino Rotolo, a cui era stato pure delegato il compito di curare uno dei tanti gazebo berlusconiani. Nel quartiere popolare della Kalsa, invece, fino a venti giorni prima delle amministrative non si vedeva un manifesto. Poi, una bella mattina, sulla saracinesca del negozio vuoto del più importante latitante della zona qualcuno aveva appeso un' immagine del sindaco Diego Cammarata (verosimilmente all'oscuro di tutto). Era il via libera. Mezz'ora dopo i muri dell'intero quartiere, come gli abitanti, parlavano solo di lui.
Non deve stupire: la mafia, anzi le mafie, sono ormai laiche, non sono a prescindere di destra o di sinistra, e prima della chiamata alle urne fanno dei sondaggi. Come ha raccontato il pentito Nino Giuffrè l'organizzazione ha uomini ovunque in grado di percepire gli umori dell'elettorato. Poi, quando diventa chiaro chi può vincere, stringe accordi con chi è disponibile al dialogo. O imponendo candidature, o offrendo voti in cambio di soldi, appalti o favori. Anche per questo, e non solo per distrazione, nelle liste oggi c'è finito di tutto. In Sicilia, per esempio, presentare Cuffaro, condannato in primo grado a 5 anni per favoreggiamento, è stato come segnare una svolta. Cintola a parte, l'Udc fa correre alla camera Francesco Saverio Romano, tutt'ora indagato per concorso esterno; Calogero Mannino, imputato davanti alla corte d'appello di Palermo; e Giusy Savarino, che solo un mese fa ha visto il Tribunale inviare, al termine del processo 'Alta Mafia', alcuni atti che la riguardano alla procura. Secondo i giudici dalle intercettazioni e dai verbali emerge come nel 2001 lo scontro sulla sua candidatura alle regionali tra suo padre, Armado Savarino, e l'ex assessore Udc, Salvatore Lo Giudice, poi condannato a 16 anni di reclusione, sia stato risolto dalla mediazione del boss di Canicattì, Calogero Di Caro. Certo, si può benissimo concordare con Pier Ferdinando Casini, il quale di fronte alle polemiche, fin qui limitate al nome di Cuffaro, ripete "non è giusto che le liste le faccia la magistratura". Resta però il fatto che il numero di suoi candidati risultati in rapporti con uomini di Cosa nostra, o coinvolti a vario titolo in indagini per mafia, è altissimo. Troppi per ritenere che le accuse lanciate dai pentiti, secondo i quali il voto per il partito di Cuffaro negli ultimi anni sarebbe stato compatto, siano del tutto campate in aria. In questa situazione, con la magistratura che non può intervenire perché per arrivare al processo ci vuole (giustamente) la prova dell'accordo con i mafiosi, a denunciare e bonificare ci dovrebbe pensare la politica. Il tentativo della commissione Antimafia di far approvare, per iniziativa del senatore di Forza Italia Carlo Vizzini, un codice etico che impedisse la presentazione di candidati collusi almeno alle amministrative del 2007 è però rimasto lettera morta. Al primo febbraio del 2008 su 103 prefetture, solo 86 avevano inviato alla commissione una fotografia di quello che era accaduto nelle urne sei mesi prima. E stando a quanto risulta dai documenti che 'L'espresso' ha letto, mancavano, tra l'altro, all'appello le risposte delle provincie di Avellino, Caltanissetta, Enna, Messina, Palermo, Reggio Calabria, Taranto e Trapani. I partiti avversari poi tacciono tutti. Il Pdl, nonostante le polemiche contro il "cuffarismo e il clientelismo", è prudentissimo. Anche perché gli azzurri in lista non si sono limitati a ricandidare il senatore Pino Firrarello, condannato in primo grado per turbativa d'asta aggravata e ora sotto inchiesta per concorso esterno, o l'ex sottosegretario Antonio D'Alì, ex datore di lavoro del superlatitante Matteo Messina Denaro, e oggi accusato dall'ex prefetto di Trapani Fulvio Sodano di aver voluto il suo trasferimento per fare un piacere a Cosa nostra (sulla vicenda è in corso un'indagine e un processo per diffamazione).Negli elenchi fa capolino pure la new entry Gabriella Giammanco, ex aspirante velina, volto giovane del Tg4, ma soprattutto nipote di Vincenzo Giammanco, definitivamente condannato come socio e prestanome di Bernardo Provenzano. E poi ci sono tutti gli altri. A partire da Gaspare Giudice, assolto in primo grado dalle accuse di mafia con una sentenza in cui il tribunale sostiene di aver però "verificato con assoluta certezza" l'appoggio datogli da Cosa nostra nel 1996 e "con grandissima probabilità" anche nel 2001. Per arrivare a Renato Schifani, considerato in pole position dal 'Giornale' come futuro ministro degli Interni, sebbene negli anni '80 sia stato a lungo socio, assieme all'ex ministro Enrico La Loggia, della Siculabrokers: una compagnia in cui figuravano anche Nino Mandalà, futuro boss di Villabate, e Benny d'Agostino, imprenditore legato per sua ammissione al celebre capo di tutti i capi, Michele Greco.
Insomma, meglio non discutere di mafia. Un po' come fa il Pd messo in imbarazzo dalle proteste di Beppe Grillo e della Confindustria, quando con un colpo di mano aveva tentato di escludere dalle liste Beppe Lumia. Dietro a quella scelta non è difficile vedere l'ombra del grande avversario di Lumia, il dalemiano Mirello Crisafulli, filmato mentre discuteva, dopo averlo baciato, di appalti e favori con i boss di Enna, Raffaele Bevilacqua. Da quando nel 2007 Lumia, condannato a morte da Cosa nostra, aveva definito la sua candidatura inopportuna, Crisafulli, grande amico di Cuffaro, non lo salutava più. Poi in lista c'era finito solo Crisafulli e Lumia era stato recuperato come numero uno al Senato solo quando era diventato chiaro che stava per passare con Di Pietro. In compenso tra gli aspiranti deputati del Pd è comparso Bartolo Cipriano, ex sindaco e poi consigliere del comune messinese di Terme Vigliatore, sciolto per mafia nel 2005.Meglio vanno le cose in Calabria, dove le liste di Veltroni, capeggiate dall'ex prefetto De Sena sono in buona parte pulite (al contrario di quanto era accaduto con le regionali quando la 'ndrangheta votò per il centrosinistra). Tra i democratici suscita qualche perplessità principalmente il nome di Maria Grazia Laganà, la vedova di Francesco Fortugno, il vice-presidente della regione ucciso dai clan, sotto inchiesta per truffa ai danni dello Stato nell'ambito delle indagini sulle infiltrazioni mafiose alla Asl di Locri. Qui, come in Campania, la battaglia con il centrodestra si profila in ogni caso all'ultimo voto. E il Pdl candida al Senato (decimo posto) addirittura Franco Iona, cugino primo del boss Guirino Iona, capo dell'omonima cosca crotonese ora in carcere dopo anni di latitanza. Nel 2005 Iona non aveva potuto correre per le amministrative con l'Udeur proprio a causa della sua ingombrante parentela. Ora, nonostante le proteste del presidente della commissione Antimafia Francesco Forgione, Iona si dà da fare per raccogliere voti e ribadisce di essere incensurato. Difficile comunque che ce la faccia, al contrario di Gaetano Rao, numero 17 del partito di Berlusconi e Fini alla Camera, e soprattutto nipote di don Peppino Pesce, vecchio boss dell'omonima e potentissima cosca di Rosarno. Per uno strano scherzo del destino Rao si ritrova candidato assieme ad Angela Napoli (An), membro della commissione Antimafia e feroce avversaria della 'ndrangheta. La Napoli, insomma, ingoia amaro anche perché con lei sono candidati Pasquale Scaramuzzino, l'ex sindaco di Lamezia Terme, un comune sciolto nel 2002 dal governo per mafia in seguito a una sua battaglia, e Giuseppe 'Pino' Galati, allora leader del Ccd: un partito che l'attaccava a tutto spiano.
Anche in Campania, dove solo nella provincia di Napoli, sono stati sciolti 15 comuni (in prevalenza di centrosinistra) dal 2001 a oggi, c'è incertezza. Alle prese con l'emergenza rifiuti il Pd pare essersi mosso con relativa cautela, anche perché scottato dalle indagini sul clan Misso e i suoi rapporti con la Margherita. Tutt'altra storia sono invece le liste degli avversari. In Parlamento entrerà Sergio De Gregorio, l'ex dipietrista subito convertito a Berlusconi, indagato per riciclaggio dopo che sono stati scoperti suoi assegni in mano a Rocco Cafiero detto ''o capriariello', un contrabbandiere considerato organico al clan Nuvoletta. Con lui ci sarà Mario Landolfi (An), ora costretto a fronteggiare l'accusa di essere stato appoggiato nel 2006 da un manipolo di camorristi. E c'è pure Nicola Cosentino, uno che la mafia se l'è trovata suo malgrado in casa, visto che uno dei suoi fratelli ha sposato la sorella del boss, detenuto al 41 bis, Peppe Russo, detto 'o padrino'. Insomma, c'è da stare tranquilli. Comunque finiranno le cose il 13 aprile avremo un Parlamento specchio del paese. Peccato solo che a essere riflessa, almeno nel sud, sarà anche la parte peggiore.

mercoledì 2 aprile 2008

Blog Action - 2 aprile 2008 -

Faccio seguito a una iniziativa di BlogAction, che chiede di inserire e segnalare questa lettera, indirizzata:
"Ai partiti politici, ai politici italiani, agli organi di informazione, alla cittadinanza tutta".
Questa lettera nasce da uno sforzo collettivo di cittadini italiani della Rete, che si sono confrontati in maniera concreta e proficua usando i mezzi offerti dal social network e partendo da un approccio comune e condiviso, al di là dell’appartenenza politica di ciascuno, per agire attivamente nell’attuale contesto politico e socioculturale.

Vogliamo richiamare l’attenzione di chi ci governa, degli organi d’informazione e delle istituzioni verso quelli che dovrebbero essere i principali obiettivi di una politica civile, etica e basata sul bene comune.
La tutela dei valori costituzionali del nostro Paese: laicità dello Stato; diritto al lavoro e alla sicurezza sul lavoro; diritto di scelta per la propria salute e tutela della stessa, per tutti; informazione libera, pluralista e basata sulle interazioni.

L’adempimento del mandato elettorale per il quale si viene eletti e del quale i cittadini elettori sono costantemente giudici. Tale adempimento dovrebbe rappresentare una condizione minima, senza la quale “fare politica” diventa semplicemente un modo per raggiungere obiettivi personali e di potere.

La risoluzione di emergenze sociali, tra cui (ne citiamo solo alcune): impatto ambientale dei rifiuti; sistema della Sanità; aiuti alle famiglie e tutela della maternità, attraverso sussidi e asili nido in numero sufficiente; sistema dell’Istruzione e della scuola e scollamento tra questo e il mondo del lavoro; precarietà diffusa e formalizzazione del salario minimo legale.

L’attuazione di riforme politiche non più procrastinabili, quali: l’immediata risoluzione del conflitto d’interessi; una seria riforma del sistema elettorale che impedisca le nomine dall’alto dei parlamentari attraverso l’indicazione della propria preferenza sulla scheda; la decisione sulla non eleggibilità di cittadini, se condannati in via definitiva, o in primo e secondo grado in attesa di giudizio finale.
Crediamo che fare politica, nel senso etimologico e più nobile del termine, comporti soprattutto fornire un esempio etico, culturale e di serietà ai cittadini che si governano, e che costituisca un ruolo da non sperperare in inutili e volgari liti, dichiarazioni razziste, aggressioni fisiche; questi comportamenti impoveriscono tutti, sia in un contesto interno alla nazione, sia rispetto all’immagine che essa deve offrire al resto del mondo. Dal momento che Voi siete chiamati a rappresentarci, dovreste porvi come portavoce di coloro che vivono la realtà quotidiana e trasmettono le sue problematiche concrete.

Pretendiamo che la politica torni a essere un servizio alla collettività e che nel fare questo rispetti alcuni precisi standard di correttezza, buona educazione civica, coerenza e chiarezza.
Noi non siamo solo numeri.Non vogliamo assistere impotenti alla banalizzazione delle parole che non si trasformano in fatti coerenti e responsabili.Noi siamo quelli che votano. Quelli che scelgono. Quelli che criticano. Quelli che domandano. Quelli che giudicano. Noi siamo coloro a cui dovete rispondere del Vostro operato, ogni giorno, in qualsiasi momento.

Attueremo un controllo serrato sulle azioni della prossima legislatura e daremo ampio risalto sui nostri blog di ciò che di buono e di cattivo verrà fatto. Siamo in grado di criticare l’informazione, di valutare l’attuazione del programma elettorale, di giudicare sui fatti e non sulle promesse e sulle favole.

martedì 1 aprile 2008

Rai2 - Annozero - 31/3/08 - Travaglio...

La Rai ha spostato Annozero di lunedi, perchè ha contro una progrrammmazione più forte ,come il Grande Fratello, quindi sperava che meno gente possibile guardasse la trasmissione di Santoro, che insieme a Report, è l'unica a fare informazione. E' evidente che la Rai vuole favorire Mediasset e il suo padrone. Comunque, guardate Travaglio su Berlusconi, finalmente!! Ed è stato anche troppo buono...

lunedì 31 marzo 2008

MEMORIAL 'CALCIOPOLI' - "SODALIZIO CRIMINALE"

Indagando sulle attività criminali della camorra, i cui tentacoli arrivano fino al calcio con il racket del totonero, la magistratura napoletana nell’estate del 2004 affida al Nucleo operativo dei carabinieri di Roma una serie di investigazioni, comprensive di intercettazioni telefoniche.
L’investigazione si conclude nell’aprile 2005, con un esplosivo rapporto che i carabinieri mandano ai magistrati napoletani Giuseppe Narducci e Filippo Beatrice. Il documento si apre con queste parole:

“Il presente elaborato costituisce il compendio delle risultanze investigative, raccolte fino all’inizio del corrente anno, caratterizzanti il sodalizio criminale facente capo a Luciano Moggi e dedito alla perpetrazione di una molteplicità di reati tutti finalizzati al raggiungimento di una posizione di assoluto dominio e controllo dell’intero sistema dello sport calcistico, inteso sia in termini di struttura istituzionale della Figc che di struttura gestionale, finanziaria e soprattutto sportiva.
L’organizzazione, avvalendosi di una strategia essenzialmente poggiata sui ricatti, violenze psicologiche e soprattutto connivenze di ogni genere, è in grado di contraddistinguersi per le peculiari e inquietanti capacità di pressione diretta e costante al fine di incidere sul regolare e democratico processo elettivo delle massime cariche istituzionali(Figc e Lnp) nonché condizionare il regolare svolgimento del campionato di calcio professionistico, con il dichiarato intento di mantenere il livello di potere e di capacità finanziaria il più a lungo possibile nelle proprie mani.
La conseguente posizione dominante-raggiunta in modo oggettivo attraverso un allarmante conflitto di interessi- è esercitata sia nei confronti dei protagonisti dello spettacolo calcistico-i calciatori- attraverso un ramificato controllo che ne condiziona la vita professionale(trasferimenti, carriere, ingaggi, e altro), sia nei confronti delle società di calcio professionistico attraverso il controllo dei gangli vitali delle strutture(sono numerose, come si analizzerà compiutamente, le società che di fatto sono riconducibili a livello manageriale all’organizzazione criminale del Moggi).
Naturlalmente una simile capacità di gestione non può prescindere dal completo controllo del ‘palazzo’ inteso come Federazione calcistica: in tale ambito le indagini consentono di svelare una straordinaria rete di connivenze ai più alti livelli che-da sole- basterebbero a giustificare il gradio di potere raggiunto nel tempo stesso dallo stesso Moggi e dai suoi sodali.
Da ultimo, ma non certo per importanza, l’organizzazione evidenzia una straordinaria capacità di controllo del potere arbitrale, attraverso l’organica connivenza dei vertici del settore ed è in grado di condizionare il libero esercizio. (…)
Il dato devastante che viene prodotto è davanti agli occhi della stessa opinione pubblica che assiste con particolare interesse agli eventi, inconsapevole spettatrice di determinazioni operate non dalla casualità del ‘pallone rotondo’ bensì dalla sagace e tracottante premeditazione dei ‘signori’ del calcio italiano.

Continua…