venerdì 21 marzo 2008

Forza Mafia -Parte II-

Nel 1991, quando finalmente Mangano salda il proprio debito con la giustizia e torna a vivere con la moglie e le tre figlie, il boss vorrebbe dunque riprendersi l’esclusiva del rapporto con Berlusconi e Dell’Utri.
Totò Riina però glielo impedisce. Per lui quel canale che potrebbe ancora portare fino a Bettino Craxi è troppo importante.
Mangano prova a protestare, ma è tutto inutile. Salvatore Cancemi, che è il suo capo diretto ed è anche il suo miglior amico, gli dice chiaro e tondo che Berlusconi e Dell’Utri li “ha nelle mani” Riina “per il bene di Cosa Nostra”.
Vittorio si ritira in buon ordine.
La situazione cambia all’improvviso nell’estate del 1993.
Cancemi, sospettato da Bernardo Provenzano e dagli altri boss di essere un confidente, viene invitato a un incontro durante il quale dovrà chiarire la sua posizione. Cancemi è un duro, quando si è trattato di rischiare la vita per il bene di Cosa Nostra non si è mai tirato indietro. Personalmente ha partecipato a decine di omicidi, quindi sa che da certe riunioni è facile uscirci cadavere. E, piuttosto che provare a giustificarsi, si consegna spontaneamente ai carabinieri. All’improvviso la famiglia mafiosa di Porta Nuova resta senza capo.
Vittorio Mangano fa carriera.
Viene nominato reggente della cosca, prima da solo, poi con Salvatore Cucuzza.
La forza di Mangano in quel periodo sta tutta nei buoni rapporti che ha con Dell’Utri. Del resto il futuro parlamentare, pubblicamente, non nasconderà mai la considerazione che prova per l’amico boss. Tanto che nel 1996 dirà in un’intervista televisiva: “Non vedo niente di strano nel fatto che io abbia frequentato il signor Mangano… lo frequenterei ancora adesso…”. E ai cronisti della carta stampata aggiunge: “ Se fosse fuori (Vittorio è stato riarrestato nel 1995) lo inviterei a prendere un caffè”.
Così, subito dopo le stragi, il braccio destro di Berlusconi accetta di vedere di nuovo Mangano. Per parlare di cosa però non lo dice. Davanti ai Pm, nel suo unico interrogatorio, Dell’Utri resta sul vago: “Mangano era solito ogni tanto venirmi a trovare, prospettandomi questioni di carattere personale, spesso attinenti a motivi di salute”.
Tanta reticenza, considerano i giudici, non è casuale. Quelle di Vittorio e Marcello non sono delle semplici rimpatriate. Sono qualcosa di molto simile a dei summit.
Lo spiega, una volta pentito, Salvatore Cucuzza, proprio il mafioso che con Mangano divideva la responsabilità di guidare la famiglia di Porta nuova. Cucuzza ricorda che sul finire del 1993, quando ormai Forza Italia sta per presentarsi ai nastri di partenza, Mangano fa visita a Dell’Utri “un paio di volte”. Negli incontri, che si protrarranno fino al 1995, Dell’Utri promette iniziative parlamentari favorevoli a Cosa Nostra, la modifica della legislazione del 41 bis e di altre norme, ma dice: “Dovete stare calmi, dovete stare calmi, basta col clamore, basta con la violenza. Ci vuole tranquillità per agire”.
I colloqui intavolati con il braccio destro di Berlusconi hanno una quasi immediata ripecussione sui vertici di Cosa Nostra.
Nino Giuffrè se ne accorge nelle riunioni alle quali partecipa con lo zio Binu. Gli uomini d’onore parlano sempre più spesso di politica perché da quello che accadrà a Montecitorio, Palazzo Madama e Palazzo Chigi dipende il futuro di tutti loro.
Giuffrè racconta: “Verso la fine del 1993 già si aveva sentore che si stesse muovendo qualcosa di importante nella politica nazionale. Si cominciava a parlare della discesa in campo di un personaggio molto importante: Berlusconi. All’interno di Cosa Nostra venivano portate queste notizie che per un certo periodo sono state al centro d’incontri, di dibattiti,di valutazioni molto, ma molto attente. Cioè tutte le persone che avevano sentore, notizie di questo movimento che stava per nascere, trasmettevano quello che sapevano a Cosa Nostra all’interno della quale noi, e in moodo particolare Provenzano, ne valutavamo l’affidabilità.[…]
Abbiamo degli incontri, riunioni, per valutare come ci dovevamo comportare, fino a quando il Provenzano stesso ci ha detto che eravamo in buone mani, che ci potevamo fidare. Per la prima volta Provenzano esce allo scoperto, assumendosi in prima persona delle responsabilità ben precise.
E nel momento in cui lui ci dà queste informazioni e queste sicurezze, ci mettiamo in cammino, per portare avanti, all’interno di Cosa Nostra e poi successivamente estrinsecarlo all’esterno, il discorso di Forza Italia”.
Binu il ragioniere, insomma decide con calma. Dopo che Riina aveva puntato sui cavalli sbagliati( i socialisti) sa di non poter commettere errori. Per diventare il capo dei capi deve dimostrare a tutti gli altri di essere in grado di far transitare l’organizzazione criminale fuori dalle secche in cui era finita dopo le stragi. Poi, quando i suoi più stretti consiglieri gli dicono che davvero di Dell’Utri ci si può fidare, dice: “Va bene, appoggiamo Forza Italia”.

Ricordo ancora: Tratto da “I Complici”-Tutti gli uomini di Bernardo Provenzano da Corleone al Parlamento-. Di Lirio Abbate e Peter Gomez.

Mi fermo qui, il capitolo continua spiegando sempre meglio come si è giunti a questo accordo, che non è così semplice e lineare, ma che ha diversi motivi, diverse sfumature, in cui entrano in gioco vari personaggi, famosi e non.

Comunque penso che ciò che ho riportato basti per farsi un’idea della vera storia della nascita di Forza Mafia…!

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