giovedì 24 aprile 2008

RESISTENZA PARTIGIANA -PARTE II-

Alcune cifre sulla Resistenza
Secondo diverse fonti il numero di partigiani, partendo dalle poche migliaia dell'autunno del 1943, raggiunse alla fine della guerra una consistenza di circa 300.000 uomini. Molti studiosi pongono però dei dubbi sul reale numero di partigiani attivi alla fine della guerra, riportando cifre ben più modeste relative agli uomini e alle donne impegnati direttamente nella lotta armata, sostenendo che tra i circa 300.000 che si definiranno partigiani dopo il 25 aprile molti siano semplicemente simpatizzanti della resistenza che, pur non partecipando direttamente alle azioni partigiane, avevano fornito (rischiando comunque la vita) supporto e rifugio e che in alcuni casi vennero conteggiati tra i partigiani anche ex-fascisti ed ex-repubblichini saliti sul carro del vincitore grazie a conoscenze, alla corruzione o alla delazione di altri sostenitori della dittatura fascista o sostenitori della Repubblica Sociale Italiana (secondo le loro indicazioni non necessariamente veritiere).
Va ricordato poi che dopo il bando del febbraio 1944, che prevedeva la pena di morte per i renitenti alla leva e ai disertori, seguito nell'aprile dello stesso anno da un altro decreto che estendeva la pena di morte anche a chi aveva dato appoggio o rifugio alle brigate partigiane, e dopo diversi casi di arruolamenti forzati da parte di soldati della RSI, molti giovani preferirono cercare rifugio tra le formazioni partigiane rispetto al partire per una guerra che non condividevano (e che molti ritenevano ormai persa) o al rischiare di essere catturato e giustiziato in città insieme ai propri familiari colpevoli di avergli dato rifugio, pur non condividendo sempre gli orientamenti politici che animavano chi aveva dato vita a queste formazioni.
Alla lotta partigiana in Italia aderirono anche alcuni gruppi di disertori tedeschi, il cui numero è difficile da valutare in quanto, per evitare rappresaglie contro le loro famiglie residenti in Germania, usavano nomi fittizi e spesso venivano considerati dai loro reparti d'origine come dispersi e non disertori per una questione d'immagine. Un caso emblematico di adesione alla lotta partigiana è quello del capitano Rudolf Jacobs.In certe zone vi fu anche la presenza, notevole, di soldati sovietici passati dopo la fuga dai campi di prigionia, con i partigiani, casi eclatanti sono Fëdor_Andrianovič_Poletaev e Nikolaj Bujanov, entrambi decorati con medaglia d'oro al valor militare.
Lapide ad ignominia
Piero Calamandrei, presso il Comune di Cuneo, 1952.Lo stesso testo appare dal 12 agosto 1993 su una lapide nella piazza di S.Anna di Stazzema, luogo dell'eccidio del 12 agosto 1944.

Lo avrai camerata Kesselringil monumento che pretendi da noi italiani ma con che pietra si costruirà a deciderlo tocca a noi.Non coi sassi affumicati dei borghi inermi straziati dal tuo sterminio non colla terra dei cimiteri dove i nostri compagni giovinetti riposano in serenità non colla neve inviolata delle montagne che per due inverni ti sfidarono non colla primavera di queste valli che ti videro fuggire.Ma soltanto col silenzio dei torturati. Più duro d'ogni macigno soltanto con la roccia di questo patto giurato fra uomini liberi che volontari si adunarono per dignità e non per odio decisi a riscattare la vergogna e il terrore del mondo.Su queste strade se vorrai tornare ai nostri posti ci ritroveraimorti e vivi collo stesso impegno popolo serrato intorno al monumento che si chiama ora e sempre RESISTENZA

Si calcola che i caduti per la Resistenza italiana (in combattimento o uccisi a seguito della cattura) siano stati complessivamente circa 44.700; altri 21.200 rimasero mutilati ed invalidi; tra partigiani e soldati regolari italiani caddero combattendo almeno in 40.000 (10.260 della sola Divisione Acqui impegnata a Cefalonia e a Corfù);
Le donne partigiane combattenti furono 35 mila, mentre 70 mila fecero parte dei Gruppi di difesa della donna; 4.653 di loro furono arrestate e torturate. 2.750 furono deportate in Germania, 2.812 fucilate o impiccate; 1.070 caddero in combattimento; 15 vennero decorate con la medaglia d'oro al valor militare.
Dei circa 40.000 civili deportati, per la maggior parte per motivi politici o razziali, ne torneranno solo 4.000. Gli ebrei deportati nei lager furono più di 10.000; dei 2.000 deportati dal ghetto di Roma il 16 ottobre '43 tornarono vivi solo in quindici.
Tra i soldati italiani che dopo l'8 settembre decisero di combattere contro i nazifascisti sul territorio nazionale continuando a portare la divisa morirono in 45.000 (esercito 34.000, marina 9.000 e aviazione 2.000), ma molti dopo l'armistizio parteciparono alla nascita delle prime formazioni partigiane (che spesso erano comandate da ex ufficiali).
Furono invece 40.000 i soldati che morirono nei lager nazisti, su un totale di circa 650.000 che fu deportato in Germania e Polonia dopo l'8 settembre e che, per la maggior parte (il 90% dei soldati e il 70% di ufficiali), rifiutarono le periodiche richieste di entrare nei reparti della RSI in cambio della liberazione.
Si stima che in Italia nel periodo intercorso tra l'8 settembre 1943 e l'aprile 1945 le forze tedesche (sia la Wehrmacht che le SS) e le forze della Repubblica Sociale Italiana compirono più di 400 stragi (uccisioni con un minimo di 8 vittime), per un totale di circa 15.000 caduti tra partigiani, simpatizzanti per la resistenza, ebrei e cittadini comuni.

Processi e copertura ai nazifascisti nel dopoguerra

Per diversi motivi molti procedimenti giudiziari relativi a queste stragi non furono mai portati avanti, in parte a causa di tre successive amnistie. La prima intervenuta il 22 giugno 1946 detta "amnistia Togliatti"[1]; la seconda approvata il 18 settembre 1953 dal governo Pella che approvò l'indulto e l'amnistia proposta dal guardasigilli Antonio Azara per i tutti i reati politici commessi entro il 18 giugno 1948,[2]; la terza approvata il 4 giugno 1966.[3]Inoltre la Germania Ovest era dal 1952 alleata con l'Italia sotto l'ombrello della NATO, per cui non risultava politicamente opportuno dare risalto ad episodi ormai ritenuti parte del passato coinvolgenti cittadini tedeschi.C'era poi il rischio giudicato imbarazzante per le istituzioni italiane che il precedente di un processo in cui si chiedeva la consegna dei criminali di guerra tedeschi avrebbe poi obbligato l'Italia a consegnare a Stati esteri o a processare internamente i responsabili di crimini di guerra commessi dalle forze italiane durante il ventennio fascista e il periodo della Repubblica Sociale Italiana, sia in territorio nazionale che straniero, molti dei quali dopo la guerra erano stati riassorbiti all'interno dell'esercito o delle pubbliche amministrazioni.
Infine durante gli anni sessanta seicentonovantacinque fascicoli riguardanti le stragi nazifasciste in Italia vennero, per le ragione sopraesposte, "archiviati provvisoriamente" dal procuratore generale militare e i vari procedimenti furono bloccati, garantendo quindi l'impunità per i responsabili ancora in vita.
Solo nel 1994, durante la ricerca di prove a carico di Erich Priebke per la strage delle Fosse Ardeatine, venne scoperta l'esistenza di questi fascicoli (trovati in quello che giornalisticamente è stato definito l' Armadio della Vergogna) e alcuni dei procedimenti furono riaperti, ad esempio quello a carico di Theodor Saevecke, responsabile della strage di Piazzale Loreto a Milano, ove furono fucilati per rappresaglia 15 tra partigiani ed antifascisti. La maggior parte delle indagini e delle denunce contenute nei fascicoli non portarono tuttavia ad un processo, poiché molti degli indagati risultarono essere non perseguibili in quanto già morti o per l'intervenuta prescrizione dei reati loro ascritti.

La transizione tra la fine delle guerra e l'elezione del nuovo parlamento

Con l'avanzare del territorio liberato il potere fu preso dai partiti riuniti nel Comitato di Liberazione Nazionale CLN, che coordinavano la resistenza, una coalizione di 6 partiti uniti nella Resistenza: azionisti, comunisti, democristiani, demolaburisti, liberali, e socialisti.
Il Comitato esprimeva i governi e attraverso il Comando unificato coordinava la Resistenza. I governi che guidarono l'Italia nel trapasso furono i governi di Ivanoe Bonomi, presidente del Consiglio dal 18 giugno 1944 al 26 aprile 1945 e Ferruccio Parri, presidente dal 21 giugno 1945 al 4 dicembre 1945 preposti dal Comitato di Liberazione Nazionale CLN.
Nell'Italia liberata questi governi ottennero progressivamente il controllo dell'apparato civile e militare dello stato, in aggiunta al controllo delle forze della Resistenza di cui ab origine disponevano, avevano quindi poteri assai vasti, quasi dittatoriali.
Tuttavia nel trapasso tra la guerra e la formazione della repubblica costituzionale, vi furono dei momenti complessi, nei quali essi furono spesso scavalcati dalle singole componenti che li esprimevano.

Le esecuzioni post-conflitto e le tensioni in seno alla Resistenza
« Molta rabbia si era accumulata negli animi. Era impossibile che non esplodesse dopo il 25 aprile. Violenza chiama violenza. I delitti che hanno colpito i fascisti dopo la Liberazione, anche se in parte furono atti di giustizia sommaria, non sono giustificabili, ma sono comunque spiegabili con ciò che era avvenuto prima e con il clima infuocato dell'epoca. I fascisti non hanno titolo per fare le vittime. »
(Ermanno Gorrieri)

Diverse fonti stimano nell'ordine delle poche decine di migliaia le vittime di parte fascista delle esecuzioni ordinate dalle formazioni resistenziali (comprese le condanne a morte di esponenti del partito fascista decise dal CLNAI subito dopo la liberazione di Milano) o eseguite da gruppi ed elementi facenti riferimento al movimento partigiano, ma di fatto non si hanno cifre precise su questi fatti.
I governi espressione della Resistenza adottarono una serie di provvedimenti per identificare i responsabili di abusi (o presunti tali) ed efferatezze commesse negli anni di guerra. Furono creati organi di indagine e tribunali specifici per sanzionare tali comportamenti: erano Corti d'Assise straordinarie sotto la presidenza di un giudice di ruolo nominato dai presidenti delle Corti d'Appello (anche Oscar Luigi Scalfaro ne fece parte). Essi agirono con prontezza e severità, si ebbero numerose condanne a morte (eseguite) o a lunghe pene detentive.
I governi dell'Italia liberata furono spesso scavalcati fu nel comportamento di partigiani che non volevano smobilitare, non accettando una normalizzazione che dava impunità a numerosi criminali fascisti. Essi usarono il potere locale, che si erano guadagnati nella lotta di liberazione, autonomamente e spesso in contrasto con le direttive del governo espressione del Comitato di Liberazione Nazionale per effettuare una serie di esecuzioni, che proseguirono circa fino al 1949.
Successivamente alla "normalizzazione" post-bellica, anche un alcuni partigiani vennero sottoposto a processi per presunte "stragi" e "assassinii" compiuti nella Liberazione: il tema della persecuzione dei partigiani da parte della magistratura e delle forze politiche su cui si fondava la giovane repubblicana divenne un simbolo per molte forze di sinistra, soprattutto causa lo stridente contrasto con l'impunità di cui godettero la maggior parte degli ex-fascisti che si erano macchiati di reati simili, quando non più gravi.
Le vendette colpirono principalmente chi si era reso responsabile dei massacri del periodo squadrista, dell'entrata in guerra del Paese con le tragedie che ne sono conseguite, della deportazione di decine di migliaia di italiani in Germania (circa 650 000 militari e 40 000 civili, tra cui 7 000 ebrei), delle torture e delle persecuzioni anche indiscriminate condotte dagli occupanti nazisti e dai loro alleati "repubblichini", tuttavia non mancarono violenze di altro tipo che sfruttarono le tensioni dell'immediato dopoguerra solo come copertura.
Le ragioni di questi comportamenti sono molteplici, si può ritenere che i partigiani temessero da parte dello Stato una punizione poco efficace o peggio una totale impunità verso i gerarchi fascisti che si erano macchiati di efferate azioni contro il popolo italiano, da cui nacque la sensazione di resistenza tradita.
Questi timori risultarono spesso fondati (quasi sempre nel caso degli organi militari e di polizia), in quanto i governi successivi effettuarono una de-fascistizzazione molto blanda soprattutto nella pubblica amministrazione, provocata da necessità politiche di pacificazione nazionale che ebbero il loro culmine nell'amnistia firmata dall'allora Ministro di Grazia e Giustizia Togliatti il 22 giugno 1946 seguita, il 7 febbraio 1948, da un decreto del sottosegretario alla presidenza Andreotti con cui si estinguevano i pochi giudizi ancora in corso dopo l'amnistia.
Si possono citare tra i tanti esempi il caso del fascista commissario-torturatore Gaetano Collotti (capo della famigerata "banda Collotti" attiva nel Nord-Est), premiato dopo la guerra con un'onorificenza militare(per questo motivo Ercole Miani torturato proprio da Collotti rifiutò la medaglia d'oro al valor militare,assegnatagli postuma); il caso del funzionario di polizia che aiutò a stendere gli elenchi per la strage delle fosse Ardeatine che fece carriera dopo la Liberazione; il caso analogo dei funzionari fascisti che collaborarono alla cattura di Giovanni Palatucci (il commissario di polizia che aiutò la fuga di migliaia di ebrei); il caso del comandante della X MAS della RSI Junio Valerio Borghese, i cui uomini si erano macchianti di numerosi ed efferati crimini durante la repressione della lotta partigiana, che venne condannato a soli dodici anni di carcere per "collaborazionismo" di cui nove furono condonati per interessamento e pressioni dei servizi segreti statunitensi che lo avevano arruolato, permettendo la sua scarcerazione subito dopo il processo e il suo ingresso nella vita politica del paese come presidente onorario del MSI.
Va anche ricordato che numerose bande armate fasciste operanti durante la RSI furono composte essenzialmente da efferati criminali e che numerosi effettivi delle forze armate fasciste si fecero strumento dei nazisti, talora al di là degli stessi desideri dei loro padroni, consumando innumerevoli atti di indicibile ferocia.

Le diverse anime della Resistenza
Va sottolineato che la Resistenza antinazista fu un fenomeno generale, presente in quasi tutti i paesi controllati dalla Germania, a partire dalla Francia e che la parte finale della guerra vide il convergere sulla Germania dei sovietici da est e degli Alleati da ovest.
Nella fase finale della guerra essi erano ancora alleati ma si vedevano chiare le tensioni per la suddivisione dell'Europa post-bellica in sfere di influenza, sia militare sia economica sia ideologica e di concezione della forma dello Stato. Nei paesi liberati dai sovietici si impose sempre il loro modello, nei paesi liberati dagli angloamericani si impose sempre il loro.
Non sempre la divisione fissata con agli accordi di Yalta era accettata dalle parti in causa. In due paesi liberati dagli Anglo-Americani, la Grecia e l'Italia, le maggiori forze della Resistenza inclinavano verso il modello sovietico, di cui tra l'altro non erano all'epoca noti alcuni aspetti. Sia in Grecia sia in Italia queste aspirazioni dei comunisti vennero frustrate dall'instaurazione di uno Stato più o meno democratico basato su un'economia di tipo capitalistico.
Viceversa in Jugoslavia l'esercito partigiano guidato da Tito instaurò un regime di tipo comunista nonostante il Paese fosse stato a Yalta parzialmente attribuito al blocco occidentale.
Nella Resistenza italiana vi erano (in forma più o meno esplicitata) due correnti maggiori di pensiero: una che vedeva la Resistenza come braccio armato di un "nuovo Risorgimento" avente lo scopo di espellere dall'Italia i tedeschi e rovesciare i loro alleati fascisti, ripristinando il regime pre-fascista o comunque liberale e democratico, basato su una democrazia parlamentare di tipo occidentale, ed una più decisamente orientata a sinistra, in genere filosovietica, che considerava (pur in contrasto con le indicazioni ufficiali delle direzioni nazionali dei principali partiti di sinistra) la vittoria militare solo un presupposto per un nuovo ordine politico in Italia basato su qualche forma di comunismo, come si pensava sarebbe avvenuto nei paesi assegnati a Yalta all'area di influenza sovietica.
In verità, questa ultima interpretazione della Resistenza non era condivisa da tutti i dirigenti del PCI, in particolare Palmiro Togliatti, aveva impresso a partire dal 1944 (e non senza incontrare una certa opposizione di alcuni elementi della base) una forte moderazione della linea politica del PCI arrivando addirittura (con la cosiddetta svolta di Salerno dell'aprile 1944) a dichiarare secondaria la questione repubblica-monarchia che divideva in quel periodo il fronte antifascista.
Era tuttavia diffusa tra i militanti comunisti l'idea dell'"ora X", ossia l'illusione che dietro l'atteggiamento togliattiano di accettazione della democrazia capitalista si nascondesse un'astuta manovra tattica volta a scatenare, al momento opportuno (l'ora X), un'insurrezione comunista.
Questa parte "rivoluzionaria" della Resistenza, in molti casi militarmente maggioritaria, non considerava finita la sua funzione armata con la vittoria dell'aprile 1945 e la battaglia continuava, assumendo il carattere di lotta rivoluzionaria, eventualmente in forme nuove, con un parziale spostamento dell'identità degli avversari.
Anche da ciò derivò l'elevato numero delle vittime, principalmente fasciste, ma anche appartenenti a brigate partigiane di diverso colore politico (fiamme verdi, democristiani, liberali), preti e in molti casi semplici esponenti delle classi sociali a loro non favorevoli in caso di scontro aperto (perciò si è anche parlato di una forte componente di lotta di classe all'interno del movimento resistenziale).
Nei mesi seguenti si si ebbero fatti sanguinosi, che con intensità calante proseguirono per alcuni anni. Talvolta i responsabili o i semplici accusati di questi omicidi nel dopoguerra trovavano rifugio o venivano fatti espatriare in paesi filosovietici come la Cecoslovacchia o la Repubblica Federativa Popolare di Jugoslavia.
Tuttavia i sovietici, rispettando le spartizioni tra i due blocchi prese a Yalta, non promisero alcun appoggio ad un tentativo di presa armata del potere e il risultato negativo del tentativo rivoluzionario in Grecia smorzò molto il movimento. Lo scontro all'interno della sinistra comunista perdurò fino alla elezioni del 18 aprile 1948, quando fu del tutto chiaro che l'Italia era ormai saldamente inserita nel blocco occidentale, contrapposto a quello sovietico nell'ambito della nascente Guerra Fredda.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Da diversi anni i nuovi fascisti televisivi al potere stanno cercando di cancellare la storia della Resistenza, mettendola sullo stesso piano della Repubblica di Salò. Tra qualch anno quando tutti i vecchi partigiani saranno morti e i libri di scuola saranno "corretti", solo in pochi sapranno cosa veramente significa la data del 25 aprile.
Mala tempora currunt